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Vorrei attirare l’attenzione sul vangelo dove troviamo Gesù che cammina lungo il mare di Galilea e incontra i primi quattro discepoli.
Ciò che ho sentito, di fronte a questa pagina, è una sorta di sorpresa: la sorpresa per una parola, che può entrare nella mia vita e cambiarla, aprendole orizzonti nuovi.
C’è una parola, che può arrivare nella tua vita e cambiarla come è accaduto a questi quattro discepoli. All’inizio della vita dei discepoli, troviamo la parola di Gesù.
Gesù non parla genericamente, non dice qualcosa per attaccare discorso.
Gesù invita e promette.
Vorrei, oggi, sostare sull’invito e la promessa di Gesù, lasciando perdere la risposta, perché quella tocca a ciascuno di noi. Vorrei che ci focalizzassimo sulla figura di Gesù.
Innanzitutto, il tono dell’invito, il tono di quel “Venite dietro a me”, se ci pensiamo bene, è più che deciso: non consiglia, non esorta, è quasi un comando; il verbo dell’invito (“Venite) è, infatti, all’imperativo.
Proprio per questo, chiede di prendere posizione, di rispondere: non si può rimanere neutri o vaghi. Ho provato a pensare che quel Venite, all’imperativo, quasi come comando, sia utilizzato per dire la forza della parola di Gesù.
La forza della parola di Gesù risiede nella capacità di trasformare chi l’ascolta, di creare qualcosa di nuovo: è la stessa forza della parola di Dio che, quando viene pronunciata, realizza ciò che dice.
Pensiamo alla creazione: sia la luce e la luce fu. La parola di Dio è capace di creare cose nuove. La parola di Dio, pronunciata sulla nostra vita, ci crea persone nuove, almeno per il fatto che questa parola apre orizzonti nuovi alla nostra vita. Tanto è vero che, a quel comando (“venite dietro di me”), segue una promessa. Una promessa non facile da comprendere: “vi farò pescatori di uomini.”
Gesù ridisegna la figura del pescatore.
Perché se esiste la figura del pescatore, non esiste quella del pescatore di uomini.
I discepoli, all’interno di questa promessa, possono solo immaginare in parte che cosa saranno. La promessa di Gesù non è chiara e distinta, come noi spesso vorremmo.
Possiamo pensare che l’immagine del pescatore di uomini, in analogia con il pescatore dei pesci, voglia suggerirci che se pescare un pesce vuol dire farlo morire pescare un uomo vuol dire toglierlo dall’abisso del mare per farlo vivere.
Toglierlo dalle acque profonde (l’immagine del mare, nella cultura ebraica, è sempre l’immagine del male), quindi, può voler dire offrigli il compito di far vivere gli altri, indicandogli la via per risalire dagli abissi del male. Vorrei chiedere al Signore di far sentire dentro di noi la forza della sua parola che può ridisegnare le nostre vite.
Vorrei chiedere al Signore che ciascuno di noi si senta chiamato a diventare pescatore di uomini, cioè compagno di viaggio di ogni uomo e donna che incontriamo nella nostra strada, in quel cammino di risalita dagli abissi del male, che ci consente di ritrovare il gusto della vita.
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