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OMELIE ANNO A 2019-20
 
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VIa dopo Pentecoste - Domenica 12 luglio 2020
(Es 33,18-34,10; 1Cor 3,5-11; Lc 6,20-31)

don Davide Milanesi

Vorrei attirare l’attenzione sull’affermazione di Esodo, fatta da Dio a Mosè: “Nessun uomo può vedermi e restare vivo”.
Cosa può voler dire questa espressione? Sembra che per vedere Dio bisogna morire!
Anche nel libro di Giobbe troviamo questa convinzione che per vedere Dio bisogna morire: Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero. (19,26-27)
L’episodio di Esodo sembra dirci che, in questa vita, a noi è concesso di vedere solo le spalle. Cosa potrà mai voler dire questo vedere le spalle di Dio?
Ho provato a pensare che, in questa vita, quando Dio passa, ci è concesso di vedere i segni del suo passaggio.
Quei segni che ci permettono di camminare dietro a Dio: per questo si vedono le spalle, a ricordarci il nostro cammino di discepolato.
Perché, però, Mosè veda almeno le spalle, perché Mosè si accorga dei segni del passaggio di Dio, deve scendere nella cavità ed essere coperto dalla mano di Dio.
Scendere nella cavità, la mano di Dio che copre rinviano ad un’esperienza di buio, dove non si vede. Dentro questa esperienza di buio, Dio passa e, solo alla fine del suo passaggio, noi possiamo scorgere le sue spalle, vale a dire accorgerci che lui è passato.
Non è forse così la nostra vita? A volte, affrontiamo esperienze che sono come scendere in alcune cavità, facciamo esperienza di buio, dove non vediamo dove stiamo andando: sono esperienze, nelle quali avvertiamo una sorta di smarrimento e, solo dopo, riusciamo a scorgere che, dentro queste esperienze, Dio è passato e ci ha tirato fuori; solo dopo essere stati al buio, noi possiamo scorgere i segni del suo passaggio, dicendo “Dio attraverso questa esperienza mi ha fatto capire…”.
Solo dopo il buio della cavità, noi possiamo dare un nome e un volto alle spalle di Dio.
A volte, quelle spalle sono un affetto che ci ha sostenuto nei momento in cui eravamo al buio, nella cavità. Altre volte, quelle spalle sono state un’esperienza di preghiera, una parola alla quale ci siamo aggrappati e che ci ha tirato fuori dalla cavità.
Ancora, quelle spalle sono una convinzione a cui ci siamo aggrappati e che ci ha tirato fuori dallo smarrimento. Oppure, quelle spalle sono state un’esperienza di perdono, una docilità di cuore a metterci in discussione e cambiare modo di vivere.
A ciascuno di noi il compito di dare un nome e un volto alle spalle di Dio.
Vorrei incoraggiare chi si trova dentro esperienze di smarrimento, di buio di non scoraggiarsi perché, in queste esperienze, anche se ci sembra di non vedere la presenza di Dio, ad un certo punto ci accorgeremo che Dio è passato e noi vedremo le Sue spalle.
Prima o poi, finirà e, alla fine, potremo individuare le spalle di Dio (cioè: i segni del suo passaggio).
Vorrei invitare a fare memoria delle esperienze di smarrimento vissute, dalle quali siamo usciti, per individuare i segni del passaggio di Dio così da ringraziarlo.
“Nessun uomo può vedermi e restare vivo”
Signore, concedici di essere, almeno, attenti ai segni del tuo passaggio, così da dare un nome e un volto alle tue spalle, dietro le quali muovere i nostri passi, per risalire dalle buie cavità, nelle quali la vita talvolta ci costringe.

  don Davide

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