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OMELIE ANNO A 2019-20
 
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Solennità della Santissima Trinità - Domenica 7 giugno 2020
(Es 3,1-15; Rom 8,14-17; Gv 16,12-15)

don Davide Milanesi

La domenica dedicata alla Santissima Trinità ci chiede di entrare nel mistero di Dio. Ci chiede di parlare di Dio, vedendo cosa e come Dio può c’entrare nella nostra vita. Quando dico la parola Dio, cosa si agita nel mio cuore?
Vorrei che ci ponessimo di fronte al mistero della santissima Trinità, quindi, di fronte a Dio, aiutati dal racconto dell’Esodo, in cui Mosè incontra Dio nel roveto ardente.
Il mistero di Dio ci viene raccontato attraverso l’immagine del roveto che brucia, senza mai consumarsi. Cosa vorrà dirci questa immagine di Dio?
Ho provato a pensare che il roveto che arde senza estinguersi sia Dio, che si manifesta dentro di noi, come un desiderio.
Il desidero di Dio, in realtà, brucia dentro ogni uomo, senza mai consumarsi: è già la presenza di Dio, dentro ciascuno di noi.
Dio si trova nel cuore di ogni uomo, come un desiderio o, se preferite, come una nostalgia: la nostalgia di Qualcuno, da cui proveniamo ed a cui ritorniamo.
Come Mosè, che, all’inizio, vede in modo sfuocato, non capendo bene di cosa si tratti, anche noi, inizialmente, percepiamo in modo sfuocato, non chiaro, questa presenza di Dio: inizialmente, può manifestarsi come il desiderio di una vita piena, che percepiamo nella forma di un’insoddisfazione della vita, il desiderio di qualcuno che mi ami e che io possa amare, il desiderio della pace, dell’armonia.
Dio è dentro ogni uomo, come un desiderio, di fronte al quale, come Mosè possiamo dire: voglio avvicinarmi e vedere….
È lecito, inoltre, immaginare che Mosè, per avvicinarsi al roveto, vinca la comodità dell’essere sdraiato all’ombra della sua tenda: fa fatica, perché deve salire qualche promontorio, sotto il sole del deserto. Questo vuol dire che avvicinarci a Dio chiede il coraggio di fare fatica: per esempio, la fatica di doversi mettere in ascolto della parola di Dio, quella parola che noi possiamo incontrare nella storia degli uomini.
Alla fine, Dio dirà a Mosè: «Sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, di Giacobbe», vale a dire: ho parlato attraverso la storia di questi uomini.
Mentre ci avviciniamo a Dio, attraverso l’ascolto della Sua Parola ci è chiesto, da Dio, una cosa molto semplice: Togliti i sandali dai piedi.
Camminare nel deserto con i sandali vuol dire essere protetti e poter andare con passo sicuro. Togliersi i sandali, al contrario, significa: non avvicinarti con troppa sicurezza a Dio. Vuol dire: non temere che possa presentarsi la necessità di camminare a tentoni, non essere sicuro di sapere già com’è Dio; piuttosto, lascia a Dio la libertà di essere se stesso. Vuol dire – anche – un invito a non costringere Dio a mettersi al nostro passo, ma metterci noi al passo di Dio. Togliti i sandali possiamo rileggerlo come «abbatti tutte le tue protezioni, vieni a me disarmato: senza protezioni, senza difese».
In questa festa della S. Trinità, abbiamo detto che possiamo comprendere come Dio sia dentro di noi, nella forma di un desiderio di pienezza di vita e di nostalgia della pace.
Se decidiamo di fare la fatica di contemplare questo desiderio, mettendoci in ascolto della parola di Dio, allora dobbiamo accogliere l’invito di Dio a toglierci i sandali dai piedi.
Non si può, infatti, comprendere il mistero della Trinità, se non abbiamo il coraggio di toglier i sandali dai piedi.
Possiamo lasciarci con questa domanda: Quali sono i sandali che devo togliere per entrare nel mistero della trinità?

  don Davide

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