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OMELIE ANNO A 2019-20
 
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QUARTA DOMENICA DI PASQUA  - Domenica 3 maggio 2020
( At 6,1-7; Rm 10,11-15; Gv 10,11-18 )

don Davide Milanesi

Oggi è la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Non so cosa possa risuonare dentro di noi, quando diciamo la parola “vocazione”, ma vorrei far notare una condizione necessaria per rileggere la propria vita come vocazione. Dicendo così, s’intuisce che il termine vocazione è un modo per interpretare la nostra vita. Con il termine vocazione, noi rileggiamo, infatti, la nostra vita come una risposta ad una chiamata.
Una condizione per rileggere la nostra vita come vocazione è quella di avere uno sguardo promettente sul futuro. Si tratta, quindi, di un’azione che ha a che fare con lo sguardo che abbiamo sul futuro, con la possibilità di progettare la vita. Ora, noi viviamo un tempo in cui, non sempre, lo sguardo sul futuro è uno sguardo segnato dalla fiducia; talvolta, al contrario, il futuro è fonte di preoccupazione, è visto come qualcosa che non può offrirci niente di bello.
C’è una dimensione di provvisorietà, che non ci permette di guardare al futuro come qualcosa di promettente (pensiamo, ad esempio, a quella legata al mondo del lavoro o al mondo affettivo).
Ne mondo del lavoro, troviamo contratti indeterminati difficili da ottenere, contratti a progetto che tengono impegnati per quel determinato tempo ma non permettono di fare progetti per il futuro oppure, ancora, incertezza su quando quell’azienda, per cui si lavora, andrà avanti.
A livello affettivo, difficilmente uno o una dice: “Questo è l’uomo della mia vita, la donna della mia vita”, ma spesso si sente dire “Vediamo come va a finire questa storia”.
Una situazione di questo tipo, facilmente, può portare ad esaltare il presente (“l’importante che io stia bene oggi”): quello che sarà domani non m’interessa molto.
La condizione di provvisorietà, incertezza, abbassa il volume della domanda vocazionale, perché ci si accontenta di vivere alla giornata, aspettando il week end, dal momento che progettare – e sognare – è rischioso.
Che cosa può aiutare a riguadagnare uno sguardo di fiducia sul futuro?
Cosa ci può aiutare a guardare al futuro in modo promettente, così che la domanda vocazionale possa alzare il volume nel cuore di ogni uomo e donna?
Il Vangelo sembra indicarci una pista: è il fatto di non sentirci soli, nella vita.
Il fatto di avvertire un buon pastore che è disposto a dare la vita per me, che mi conosce, il fatto di sentirci voluti bene con un amore come quello che Gesù ha, per ciascuno di noi. La percezione di un amore come quello di Gesù ci fa, infatti, ritrovare la forza di osare a progettare il nostro futuro.
Direi di più: la vocazione è il modo concreto di rispondere a quest’amore.
In un contesto di provvisorietà, la solitudine non aiuta a guardare al futuro in modo promettente e, dunque, abbassa il volume della domanda vocazionale.
È, però, sempre possibile, in questa provvisorietà, non avvertire la solitudine, bensì, percepire che la nostra vita è amata da un amore come quello di Gesù di Nazareth, per cui, è possibile recuperare uno sguardo promettente sul futuro che faccia alzare la domanda sulla vocazione. Anche in questa provvisorietà, è possibile percepire l’amore di Gesù per la mia vita, per cui è possibile dare spazio alla domanda su come rispondere a quest’amore.
La risposta a quest’amore è la nostra vocazione e diventa il modo con cui progettiamo la nostra vita.
Chiediamo a Dio che ogni uomo o donna, in questo contesto di provvisorietà, non avverta la solitudine, ma possa sentirsi amato da un amore come quello di Gesù, buon pastore, che conosce le sue pecore ed è disposto a dare la vita per loro.
La percezione di questo amore farà emergere la domanda vocazionale, sia per chi ancora sta cercando la propria vocazione, sia per chi è chiamato a custodirla.

  don Davide

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