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OMELIE ANNO B 2018
 
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XIII domenica dopo Pentecoste  - Domenica 19 agosto 2018 (2Cr 36,17c-23; Rm 10,16-20; Lc 7,1b-10)

don Davide Milanesi

Oggi ci troviamo di fronte a due persone, distanti tra loro: Gesù e il Centurione. Distanti, per diversi motivi.
Innanzitutto, Gesù era ebreo, mentre il centurione era romano. Gesù, poi, non aveva nessun potere terreno, mentre il centurione aveva il potere di controllo sull’intera città. Gesù era un circonciso cresciuto secondo la legge di Mosè, il centurione era invece un pagano; infine, Gesù era un uomo disarmato, mentre il centurione aveva una spada e comandava cento soldati (la centuria).
Come è possibile che questa distanza sia diventata prossimità ?
Un primo aspetto è legato all’amore. C’è l’amore del centurione per il suo servo e l’amore del centurione per il popolo d’Israele, che Gesù stesso ama. Un amore, che porta il centurione ad avvicinarsi piano piano a Gesù in modo disarmato. Il centurione, con quel suo continuo dire «non sono degno», è un po’ come se si spogliasse della sua spada e del suo potere. Un amore, che porta il centurione a riconoscere che la sua parola di comando, la sua parola autoritaria, imperativa, spesso usata per comandare la centuria, in realtà non può nulla sulla vita del suo del servo.
È bene disarmarsi, riconoscere il limite del proprio potere, della propria parola, per affidarsi a una parola più potente e forte, come quella di Gesù.
Una parola, quella di Gesù, che può ridare vita.
Tutti noi, come il centurione, abbiamo fatto esperienza della forza della parola.
Ogni parola porta con sé un dono: ci sono parole che portano in sé il dono della vita e parole che portano, invece, alla morte.
Ogni parola che ascoltiamo porta in sé un dono, cioè offre qualcosa.
Vi sono parole che offendono e portano con sé il dono del risentimento della rabbia. Vi sono parole, come quelle della cronaca, che informano su avvenimenti spiacevoli, che ci donano rabbia, tristezza, magari sfiducia nel futuro.
Vi sono parole di complimento: parole benevole, che ci donano gratificazione e gusto per la vita.
Vi sono parole che promettono, di fronte alle quali, però, rimaniamo scettici e dubbiosi.
Vi sono parole di perdono, che portano il dono della fiducia e del coraggio.
La parola di Gesù – il centurione l’aveva capito – è una parola che porta in sé il dono della vita. Anche noi veniamo in chiesa per ascoltare una parola che ha la forza di riaccendere il gusto per la vita. Durante la Messa, infatti, chiediamo sempre questo: Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa ma di soltanto una parola e io sarò salvato. Sarò salvato dal malessere della vita, sarò salvato dalla morte, perché la tua parola mi può ridare gusto per la vita, può ridare entusiasmo per la vita.
Tutto questo è possibile, se noi, come il centurione, veniamo a Gesù disarmati, abbandonando i segni del potere, i segni della nostra dignità: ciò che dà dignità ad un uomo e una donna, infatti, è l’amore di Dio, che percepiamo anche dalle parole di Gesù.
Chiediamo al Signore di saper venire a lui disarmati, così da raccogliere la sua parola potente e forte, che riaccende in noi il gusto per la vita.

 

  don Davide

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