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Quando mi è stato detto: “SAMZ”, la memoria è subito ritornata all’infanzia. Giocavo a calcio nella Sant’Alessandro, la squadra dell’oratorio di Pieve Emanuele, paese in cui sono cresciuto e ho vissuto fino al mio ingresso in Seminario. Ricordo, durante il mio primo campionato, un torneo organizzato dal C.O.R: arrivammo ultimi, con un punto soltanto, ottenuto grazie a un pareggio conquistato proprio sul campo della SAMZ. Sento ancora la gioia mia e dei miei compagni in quel fine-partita: dopo tante sconfitte, finalmente un pareggio e il primo punto in classifica ! Ora il Signore mi riporta sui campi della SAMZ, non per condividere la gioia di un pareggio, ma la gioia del Vangelo. Con questo desiderio nel cuore arrivo in una comunità che – mi hanno raccontato – sa essere vivace e generosa.
Sono nato il 9 Settembre del 1968 a Milano, originario – come vi ho già svelato – della parrocchia Sant’Alessandro in Pieve Emanuele. Mi sono diplomato in chimica industriale e, dopo la maturità, ho frequentato per due semestri la facoltà di fisica. Abbandonata l’università, ho lavorato un anno come operaio in una ditta di estintori a Fizzonasco e ho poi trascorso il periodo del servizio civile presso una comunità per tossicodipendenti gestita dall’associazione “La strada”. In seguito sono stato assunto in Tecnimont, ma all’età di 24 anni mi sono licenziato per entrare in Seminario.
Il 12 giugno del 1999 divento prete e, dopo i mesi estivi di luglio e agosto a Parabiago, dal 1 settembre vengo destinato alla parrocchia S. Ambrogio in Cinisello Balsamo. Qui rimango come coadiutore in oratorio per nove anni. E’ stato un tempo molto intenso e vivace, che ricordo sempre con grande gratitudine al Signore per le belle relazioni che si sono create con i ragazzi e i giovani, ma anche con gli adulti con cui ho condiviso le diverse esperienze.
Nel 2008 vengo però richiamato in Seminario: nominato vicerettore del quadriennio, ho svolto questo compito fino ad oggi. Per il momento faccio fatica a raccogliere in sintesi ciò che ho vissuto in questa seconda tappa del mio ministero; forse più avanti la comprenderò meglio. Sono sicuramente stati anni interessanti, che mi hanno permesso di approfondire meglio la vita del ministero e di allargare lo sguardo sulla realtà della nostra Diocesi. Li ho messi nelle mani del Signore, e questo mi basta.
Durante il periodo di servizio in Seminario non ho comunque mai smesso di andare in oratorio: ho infatti trascorso i sabati, le domeniche e soprattutto le estati occupandomi dei ragazzi e dei giovani della parrocchia di Binago.
Sempre negli stessi anni ho potuto impegnarmi per otto volte nell’itinerario “Nati per amare”, programmato dall’ AC per i fidanzati della Zona di Varese.
Dal 1 gennaio del 2016 sono anche stato nominato delegato arcivescovile per l’Ordo Virginum, che tutt’ora seguo e continuerò a seguire.
Un’altra cosetta ai margini: ho da poco offerto la mia disponibilità a “Retrouvaille”, un servizio esperienziale per coppie sposate o conviventi che soffrono gravi problemi di relazione, che sono in procinto di separarsi o già separate o divorziate, ma intendono ricostruire il loro rapporto d'amore, lavorando per salvare il loro matrimonio purtroppo in crisi, ferito e lacerato.
Questo, in breve, il mio percorso. Altre cose le scopriremo strada facendo. Adesso la mia storia continuerò a scriverla con voi.
Vorrei chiudere richiamando una pagina di Vangelo che più di altre è capace di unificare la mia esistenza: il capitolo 21 di Giovanni. Dopo la pesca miracolosa sul lago di Tiberiade, il discepolo amato riconosce il Risorto e grida: “E’ il Signore”. Questo suo grido continuamente mi interpella e mi provoca: davvero desidero che solo Gesù di Nazaret, e non altri, possa essere il Signore della mia vita.
C‘è poi, nel medesimo brano, un’altra espressione che mi guida. Sono le parole che Gesù rivolge a Pietro: “Un altro ti condurrà dove tu non vuoi”. Mi aiutano ad interpretare il ministero come un cammino di affidamento. A viverlo da credente, da prete credente, non da funzionario di Dio. Di fronte alla tentazione di affannarmi per essere all’altezza, per valere qualcosa in virtù delle mie doti o delle mie capacità; di fronte alla tentazione di voler a tutti i costi incidere nella vita della Chiesa e di ovviare alla sproporzione di quanto mi è stato affidato con un attivismo indiscreto, questa espressione – “un altro ti condurrà dove tu non vuoi” – mi aiuta a custodire il dono del ministero in un atteggiamento di abbandono, di affidamento, con spietata lucidità nel riconoscere la mia debolezza come luogo che Dio ama e può rendere fecondo.
Permettetemi di concludere con alcune parole di padre Facundo, cura villeros a Buenos Aires, nelle quali mi ritrovo e dalle quali mi sento interpretato:
“Mi sono fatto prete perché mi piace passare con la gente tutti i momenti, quelli tristi come quelli allegri. In una giornata puoi fare un battesimo, un servizio funebre, vedi una famiglia che ha avuto un certo problema, stai con i bambini, con i ragazzi, fai molte cose, e arrivi a sera pieno di una montagna di esperienze, di grida, di gemiti, di gioie e di tristezze. E che cosa ti insegna tutto questo dal punto di vista umano e spirituale? Ti insegna a mettere tutto nelle mani di Dio perché tu non sei redentore di niente, al massimo accompagni e in qualche modo fai presente Gesù in quella situazione di sofferenza o di gioia. E’ questo che ti può far stare bene, contento, allegro, di buon umore e senza volerti sottrarre. E così dire messa non diventa mai un’abitudine. Com’è triste il prete che consacra soltanto l’eucaristia e non l’esistenza ! Sono consacrato per consacrare la vita, la realtà, la quotidianità. E’ la cosa più grande. Essere prete è un modo di stare nella vita, un modo di esistere, e ci si trova la felicità. Sono felice di questa vocazione, succeda quel che succeda”. |
don Davide Milanesi
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