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OMELIE ANNO B 2020-21
 
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Va Domenica di Quaresima - Domenica 21 marzo 2021
( Dt 6,4a.20-25; Ef 5,15-20; Gv 11,1-53)

don Davide Milanesi

In questa Quaresima, in cui stiamo chiedendo un cuore nuovo per celebrare una Pasqua nuova, vediamo a quale novità del cuore ci invita questa pagina di Vangelo.
A me pare che quest’ultima ci inviti a ravvivare la nostra fede in Gesù resurrezione e vita. Cerchiamo di capire cosa può voler dire credere che Gesù è la resurrezione e la vita: proviamo a metterci nei panni di Marta e Maria.
Entrambe rimproverano Gesù: se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto, cioè: io so che sei più forte della malattia, ma non sono sicura che sei più forte della morte.
Anche se Marta dirà qualunque cosa chiederai a Dio te la concederà; ma cosa avrebbe voluto che chiedesse Gesù? Non certo il ritorno in vita di suo fratello, perché, quando Gesù dice “togliete la pietra”, lei obietta che Lazzaro è lì dentro ormai da quattro giorni, quasi a dire «non c’è più niente da fare».
Anche quando Gesù dice di essere lui la resurrezione e la vita e chiede a Marta “credi in questo?”, Marta non risponde dicendo “credo che tu sei la resurrezione e la vita”, ma “credo che tu sei il figlio di Dio”. Cosa vuol dire che Gesù è il Cristo il figlio di Dio: vuol dire che crede in Gesù resurrezione e vita?
A me pare che Marta, in un certo senso, a parole, lascia intravedere che crede in Gesù resurrezione e vita, ma non sa cosa voglia dire, perché, quando sta per sperimentare, sta per vivere Gesù resurrezione e vita, si tira indietro (È già da quattro giorni, manda cattivo odore)… è come se gli dicesse “ma cosa stai facendo?”.
Allora, per noi, credere che Gesù è resurrezione e vita cosa vuol dire?
Credere che Gesù è la resurrezione e la vita non è credere solamente da un punto di vista teorico all’evento della sua risurrezione dopo tre giorni dalla sua morte, ma è credere che, in ogni giorno, dalle piccole morti quotidiane dei nostri rapporti, dei nostri attaccamenti alle cose, Gesù possa far rinascere in modo nuovo e rinnovato altri rapporti o gli stessi rapporti.
Faccio un esempio: una relazione, a volte, muore a motivo di una delusione e talvolta si legge la delusione come la fine di quel rapporto, senza credere che Gesù, proprio da quella delusione, possa far rinascere quel rapporto in modo nuovo e forse più vero.
Di fronte a Gesù resurrezione e vita noi rischiamo di essere degli atei pratici, siamo un po’ come Marta: diciamo a parole di credere nella resurrezione, ma, quando questa si sta per compiere avanziamo qualche obiezione.
Un segno che dice la nostra fede in Gesù resurrezione e vita è quando noi affermiamo, accettiamo la necessità della morte, perché ci sia resurrezione.
Perché si risorga, è necessario morire.
Talvolta, fatichiamo a buttar via, a tagliare, a chiudere con qualcuno, con qualcosa, vale a dire, a far morire una modalità di relazione, perché non crediamo che il Signore possa far risorgere qualcosa di nuovo.
Quando diciamo: questa cosa, questa realtà, questa relazione meglio tenerla buona, perché potrà venir utile in futuro (e può essere anche vero), ma, nello stesso tempo, noi stiamo affermando di non credere nella resurrezione; fatichiamo, infatti, a credere che il Signore provvederà a far nascere una nuova relazione, una nuova realtà: la fede nella resurrezione è fede nell’amore provvidenziale di Dio, che non ci lascerà mai mancare ciò di cui abbiamo bisogno. Perché si risorga, è necessario morire.
Solo la fede nella resurrezione ci fa affrontare la morte come un passaggio angusto e stretto, per poi, però, ritrovare la vita.
Proviamo a pensare cosa vuol dire affermare che la morte sia necessaria perché vi sia una resurrezione, dentro un vissuto pastorale, un vissuto relazionale.
Dentro un vissuto pastorale, vuol dire aver il coraggio di far morire alcune tradizioni, sperando e fidandoci che Gesù possa farne risorgere di nuove. Tutte le volte che ci lamentiamo e diciamo che non è più come una volta, non crediamo nello Spirito del Risorto, che può far nascere cose nuove.
Chi l’ha detto che una congregazione religiosa non debba morire? (Timothy Radcliffe)
Perché non possiamo credere che, tra i nostri giovani, lo Spirito del Signore possa suscitare nuovi santi fondatori di nuove congregazioni religiose, che rispondano in modo più adeguato ai bisogni dei poveri del nostro tempo?
Dentro un vissuto relazionale, credere nella resurrezione è riconsiderare il valore della fedeltà e della perseveranza: in ultima analisi, una fede debole nella resurrezione non ci aiuta a sostenere la fedeltà e la perseveranza nell’amore. Credere nella resurrezione è credere che questo amore, anche in giorni avari di vita, val la pena di essere vissuto, perché il Signore lo farà risorgere in modo rinnovato, più autentico e profondo, con un’intensità di comunione e di gioia che non avremmo nemmeno potuto immaginare.
Gesù ha detto io sono la resurrezione e la vita: ma noi accogliamo la morte come necessaria, perché vi sia una resurrezione?
Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate.

  don Davide

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