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OMELIE ANNO B 2020-21
 
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Divina Maternità della Beata Vergine Maria - Domenica 20 dicembre 2020
( Is 62,10-63,3b;  Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a )

don Davide Milanesi

Vorrei porre l’attenzione sulla seconda lettura, nella quale Paolo invita i cristiani di Filippi a stare lieti, a far conoscere a tutti la loro amabilità.
La ragione di questa letizia, della loro gioia, della loro amabilità è il fatto che “Il Signore è vicino”.
Cosa vuol dire che il Signore è vicino?
Potremmo interpretare questa vicinanza in termini temporali: manca poco al Natale. Questo è certamente un primo livello di interpretazione: a Natale, facciamo memoria della sua nascita, della sua venuta, del fatto che Dio non sta su nei cieli ma viene su questa terra, entra nella nostra storia.
C’è, però, un livello di interpretazione più profondo.
Quando noi avvertiamo una persona vicina?
Quando ci sentiamo capiti, quando troviamo comprensione per le nostre paure. Non sentiamo, forse, il bisogno di stringerci a qualcuno, quando avvertiamo la paura?
Io credo che la vicinanza, che siamo chiamati a sperimentare in questo Natale, sia quella di un Dio che comprende le nostre paure, senza giudicarle né deriderle.
Quando qualcuno capisce le nostre paure, è come se il nostro cuore si alleggerisse di un peso.
Nella paura, non abbiamo bisogno di qualcuno vicino che ci stringa semplicemente la mano. Avvertiamo, a volte, la necessità di parlare con qualcuno di ciò che pesa sul nostro cuore, di ciò che ci fa paura: se nel raccontarlo, troviamo qualcuno che capisca tutto questo, noi ci sentiamo alleggeriti, direi liberati. Solo una volta liberati da ciò che appesantisce il nostro cuore, da ciò che ci fa paura, possiamo lasciare sgorgare la letizia, la gioia.
Quando gioia e letizia abitano il nostro cuore, perché liberato dalla paura, grazie alla vicinanza di un Dio che capisce quello che stiamo vivendo, anche la nostra umanità diventa più amabile.
Diversamente, se il nostro cuore rimane appesantito dalla paura, la nostra umanità assumerà i tratti della difesa. Una difesa che si esprimerà talvolta in aggressività, altre volte in amarezza e cinismo.
Letizia e amabilità vanno di pari passo: perché, però, possano abitare la nostra umanità, dobbiamo liberare il nostro cuore dalla paura.
Per liberare il nostro cuore dalla paura, non ci resta che invocare la venuta di un Salvatore.
A Natale, questa nostra invocazione sarà esaudita.
In ultimo, vorrei dire che tutte le paure (la paura del non senso, dell’inutilità, la paura che la nostra vita non conti) sono la eco di un'unica paura: la paura di morire.
Vorrei, perciò, concludere con la testimonianza di un santo che si è lasciato liberare dalla paura del morire, consentendo alla sua umanità di essere segnata da letizia ed amabilità: San Domenico Savio.
«II 24 giugno 1855, all'Oratorio si faceva festa: era l'onomastico di Don Bosco. Ognuno cercava di manifestargli il suo affetto, e Don Bosco ricambiava con cuore grande. La sera precedente, disse ai suoi ragazzi: "Domani volete farmi la festa, e io vi ringrazio. Da parte mia, voglio farvi un regalo che più desiderate. Perciò ognuno prenda un biglietto e vi scriva sopra il regalo che desidera. Non sono ricco, ma se non mi chiederete il Palazzo Reale, farò di tutto per accontentarvi".
Quando lesse i biglietti, trovò domande serie e bizzarre. Chi gli chiedeva "cento chili di torrone per averne per tutto l'anno", chi un cucciolo "al posto di quello che ho lasciato a casa". Giovanni Roda, un amico di Domenico, gli chiese "una tromba come quella dei bersaglieri, perché voglio entrare nella banda musicale".
Sul biglietto di Domenico trovò 5 parole: "Mi aiuti a farmi santo".
Don Bosco chiamò Domenico Savio e gli disse: "Quando tua mamma fa una torta, usa una ricetta che indica i vari ingredienti da mescolare: lo zucchero, la farina, le uova, il lievito...
Anche per farsi santi ci vuole una ricetta, e io te la voglio regalare.
È formata da tre ingredienti, che bisogna mescolare insieme:
Primo: Allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non piace al Signore. Caccialo via.
Secondo:I tuoi doveri di studio e di preghiera.Attenzione a scuola, impegno nello studio, pregare volentieri, quando sei invitato a farlo.
Terzo:Far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni quando ne hanno bisogno, anche se ti costa un po' di disturbo e di fatica.
La ricetta della santità è tutta qui".
Domenico ci pensò su.
I primi due "ingredienti" gli pareva di averli.
Nel far del bene agli altri, invece, qualcosa di più poteva fare, pensare, inventare. E da quel giorno ci provò.
Nell'estate del 1856 scoppia il colera, male allora incurabile. Le famiglie ancora sane si chiudono in casa, sbarrano le porte, rifiutano ogni contatto con le altre persone.
I colpiti muoiono soli, abbandonati.
Don Bosco raduna i suoi 500 ragazzi e incita i più coraggiosi ad uscire con lui.
Quarantaquattro, tra i ragazzi più grandi, si offrono volontari quella sera stessa. Tra essi, in prima fila, c'è Domenico Savio.
Un anno dopo, il 9 marzo 1857, Domenico muore fra le braccia dei genitori con queste parole sulle labbra: "Mamma non piangere, io vado in Paradiso".
II 12 giugno 1954 papa Pio XII lo dichiarò santo, un santo di soli 15 anni».

  don Davide

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