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OMELIE ANNO A 2019-20
 
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V DOMENICA DOPO L'EPIFANIA - Domenica 7 febbraio 2020
( Is 66,18b-22; Rm 4,13-17; Gv 4,46-54 )

don Davide Milanesi

Leggendo con attenzione questa pagina di Vangelo, c’è un dettaglio, che può incuriosire e che è la chiave di lettura di questa pagina.
Dopo il rimprovero di Gesù (“Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”), c’è l’insistenza del funzionario del re, affinché Gesù veda suo figlio, ammalato.
Gesù, di fronte a questa richiesta non va, ma consegna una parola: “Va’, tuo figlio vive!”.
L’evangelista annota: quell’uomo credette.
Alla fine della pagina, quando i servi dicono al funzionario del re le stesse parole di Gesù (“Tuo figlio vive”) e dopo che il funzionario ha verificato l’ora cui il figlio ha ripreso vita, l’evangelista annota: “credette lui, con tutta la sua famiglia”.
Nasce, perciò, la domanda: ma se aveva già creduto, perché ha dovuto dire ancora una volta che credette lui e la sua famiglia? Che differenza c’è tra il credere alla parola di Gesù e il credere dopo aver costatato che il ritorno in vita del figlio è accaduto nell’ora in cui Gesù aveva pronunciato le parole “Va' tuo figlio vive”?
Ho provato a pensare, anche a motivo del rimprovero di Gesù, che l’evangelista voglia mettere in evidenza che il miracolo non induce alla fede; piuttosto, c’è una fede che rilegge i segni, attribuendoli a Dio.
La fede nasce dall’obbedienza alla parola di Dio e questa fede ci aiuta ad interpretare ciò che accade come dono di Dio.
Mi pare di poter dire che la fede è un modo per comprendere la vita e la si comprende alla luce della Parola di Dio, che troviamo sia nella Scrittura sia nelle persone che hanno fatto della fede un sapere per rileggere la propria vita.
Ma quali sono gli effetti del credere alla parola di Dio?
La pagina di Vangelo sembra suggerirci che credere alla parola di Dio ci faccia ritrovare gusto per la vita, contagiando gli altri nel ritrovarlo. La parola di Gesù («Va’, tuo figlio vive»), alla quale il funzionario del re credette, rigenera la vita in suo figlio.
La parola di Gesù, che suscita la fede nel funzionario del re, è capace di generare la vita.
Ho provato a pensare che la nostra fede nella Parola di Dio genera vita, non solo in noi, ma anche in chi ci sta attorno, perché è capace di far diventare noi stessi parola di Dio per gli altri.
La Parola di Dio dà vita: credere a questa Parola ci fa ritrovare la vita e ci fa generare vita anche in chi ci sta attorno, perché diventiamo noi stessi parola di Dio per gli altri.
A volte, potremmo provare la sensazione che la nostra fede non serva a niente, non interessi a nessuno: la pagina del Vangelo ci dice il contrario.
Oggi, questa pagina ci invita a recuperare il senso del mistero di Dio, in cui la mia fede diventa un bene anche per la vita degli altri, perché Dio prende la mia fede e la rende, in modo misterioso, feconda per la vita di qualcun altro. La fede del funzionario del re nella parola di Gesù riporta alla vita suo figlio.
Il senso dell’unzione degli infermi, in un contesto comunitario, come quest’Eucarestia, vuole aiutarci a ricomprendere che la nostra fede nella parola di Gesù può aiutare a ritrovare gusto per la vita chi, provato dalla malattia, sente venir meno quest’entusiasmo per la vita.
L’unzione degli infermi è il gesto attraverso cui noi diciamo che Gesù ci accompagna nel cammino della vita, anche quando questa è segnata, provata dalla malattia, così da ridare gusto alla vita, affinché la vita, anche nella malattia, non sia abbandonata, dimenticata, bensì accompagnata da Gesù stesso.
In conclusione, cosa può dirci questa pagina di Vangelo?
Innanzitutto possiamo costatare che siamo in un tempo in cui la fede in Gesù non è l’unico modo di comprendere la vita. Tuttavia, nello stesso tempo, ci ricorda che credere alla parola di Dio rende noi stessi parola di Dio per gli altri, perché la Parola di Dio dona gusto alla vita.
Noi, però, possiamo dire che chi ci incontra trova gusto ed entusiasmo per la vita?

  don Davide

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