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OMELIE ANNO B 2018
 
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N.S. Gesù Cristo, Re dell'universo - Domenica 11 novembre 2018
(Is 49,1-7; Fil 2,5- 11; Lc 23,36-43)

don Davide Milanesi

L’anno liturgico si conclude con la solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, per poi riprendere con l’avvento (la domenica successiva).
Oggi celebriamo il fatto che Gesù sia re dell’universo. Ma cosa vuol dire che Gesù è re dell’universo?
Vorrei tentare di rispondere a questa domanda, facendoci aiutare dai due malfattori crocifissi con Gesù. Lo sguardo e le parole di questi due malfattori crocifissi con Gesù possono aiutarci a comprendere cosa vuol dire che Gesù re dell’universo.
Non li distinguerei tra il buon ladrone e il cattivo ladrone, perché entrambi rimangono ladroni, cioè malfattori; anzi, il cosiddetto buon ladrone compie il furto più importante della sua vita: strappa il paradiso a Gesù. Quindi, preferirei distinguerli tra il primo e il secondo malfattore.
Il primo malfattore dice così a Gesù: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi. Vale a dire: se tu sei re, dovresti salvarti, dovresti essere capace di tirarti fuori da questa situazione che ci inchioda. Il primo malfattore comprende la regalità di Gesù nella modalità di una potenza capace di tirarsi fuori da quella situazione di sofferenza che porta alla morte. Il re è talmente potente che evita il male(«Salva te stesso»). È in linea con quello che dicono i soldati (“Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”). Per il primo malfattore, quindi, la regalità sta nella capacità di vincere il male evitandolo, non lasciandosi prendere dal male.
Il secondo malfattore ha uno sguardo diverso: innanzitutto riconosce Gesù come Dio; infatti, dice al primo malfattore non hai alcun timore di Dio. Ma perché lo riconosce come Dio? Lo dice bene con le parole che pronuncia dopo: tu sei condannato alla stessa pena di Dio, ma noi la meritiamo per il male che abbiamo fatto, mentre lui non ha fatto nulla di male. Ecco, il volto di Dio è questo: colui che non ha fatto nulla di male decide liberamente di portarlo sopra di sé, decide di attraversare il male, non scappa, si lascia prendere dal male. Lo attraversa. È Dio perché pur potendo risparmiarsi il dolore decide di condividerlo insieme a chi soffre.
È Dio, è re perché decide di condividere il dolore. La croce di Gesù si innalza insieme alle croci degli uomini. C’è una regalità in questa capacità di condividere il dolore. Gesù è re perché, pur potendo evitare il male ed il dolore, li attraversa così che nessuno si senta solo e abbandonato quando li sperimenta.
Se questa è la regalità di Gesù che accetta il dolore, affinché nessun uomo si senta solo nel proprio dolore, vorrei invitare ciascuno di noi alla preghiera per quelle persone che vivono quella forma di sofferenza, che talvolta anche noi possiamo vivere, che è la solitudine.
La solitudine di chi avanti con gli anni viene abbandonato dai propri figli; la solitudine di chi non si sente capito, ascoltato;
la solitudine dei profughi e dei migranti, che scappano dalla guerre lasciando il proprio paese;
la solitudine di tanti giovani nel trovare una strada che li renda felici nella vita;
la solitudine di chi, pur avendo tanti mezzi sofisticati di divertimento, sperimenta un vuoto profondo nel cuore.
Di fronte al dolore della solitudine sperimentata da tante persone vorrei che, come Gesù, re dell’universo, provassimo a condividere questo dolore così che le persone attorno a noi si sentano meno sole.
Allontaniamo da noi il pensiero del primo malfattore (“salva te stesso”), che ci conduce a chiuderci in un’indifferenza che fa solo male a noi stessi e a quanti ci stanno accanto. Piuttosto, come il secondo malfattore, chiediamo a qualcuno di ricordarsi di noi e, come Gesù, impariamo a ricordarci di quanti stanno accanto a noi e stanno attraversando il deserto della solitudine.
Inventiamo un gesto (una telefonata, una email, una spesa sospesa..) per dire a qualcuno che ci siamo ricordati di lui: allora, potrà, forse, uscire dall’inferno della solitudine, per sperimentare la gioia del Paradiso!
 

  don Davide

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