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OMELIE ANNO B 2018
 
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VIII domenica dopo Pentecoste  - Domenica 15 luglio 2018 (Gdc 2,6-17; 1 Ts 2,1-2.4-12; Mc 10,35-45)

don Davide Milanesi

Vorrei provare ad entrare nel cuore di Paolo, a partire dalla lettera ai Tessalonicesi che abbiamo ascoltato. Insieme, proviamo a vedere se il cuore di Paolo ci interpreta, rileggendo il nostro cuore.
Paolo inizia dicendo che, dopo avere sofferto e subito oltraggi a Filippi, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.
Questa espressione ci aiuta a comprendere che Paolo arriva a Tessalonica non dopo aver trionfato o aver vissuto momenti di gloria a Filippi: al contrario, giunge in quel luogo dopo aver sperimentato un fallimento (dopo aver sofferto e subito oltraggi). Paolo arriva in questa nuova chiesa, Tessalonica, come un uomo fallito, un uomo che ha sofferto a motivo del Vangelo.
Nonostante il cuore di Paolo abbia appena sperimentato il sapore di un fallimento, trova ugualmente il coraggio di continuare ad annunciare il Vangelo.
Proviamo a pensare: nel nostro piccolo, quando noi abbiamo sofferto a motivo del Vangelo, oppure abbiamo subito – non dico oltraggi – ma siamo stati derisi a motivo della nostra fede nel Vangelo? C’è stata una nostra “Filippi”?
Proviamo a pensare a quando, a volte, abbiamo assaporato una sconfitta, a motivo del Vangelo. Spesso, non dobbiamo andare molto lontano: ci sono delle sconfitte nel nostro servizio all’evangelizzazione che possiamo toccare con mano nelle nostre relazioni sul mondo del lavoro e nella nostra comunità cristiana. Oppure, proviamo a pesare all’opera di evangelizzazione che un genitore fa nei confronti dei propri figli: uno li porta a catechismo, in chiesa, testimonia con la propria vita il valore della fede e poi, però, vede che i propri figli prendono strade diverse. I figli, a volte, diventano la nostra “Filippi”, non perché come genitori veniamo oltraggiati, bensì perché diventano motivo di sofferenza, quando si allontanano dalla fede che noi abbiamo cercato di trasmettere loro.
Paolo, con un cuore in queste condizioni, che ha sofferto e subito oltraggi, trova il coraggio di annunciare ancora il Vangelo a Tessalonica. Non si perde d’animo: continua a rimanere fedele al Vangelo.
Potremmo chiederci dove trovi il coraggio per continuare.
Lo dice lui stesso: trova coraggio in Dio. In quel Dio, che lo ha trovato degno e gli ha affidato il Vangelo.
Ma c’è di più: trova coraggio in Dio, perché Paolo è *concentrato (preoccupato) di piacere a Dio più che agli uomini. Paolo ci restituisce questo grande criterio, da utilizzare nelle nostre scelte quotidiane: si annuncia il Vangelo per piacere a Dio più che agli uomini.
Si annuncia il Vangelo perché, nell’annunciarlo, lo si vive. Lo si annuncia, perché *tesi verso l’obiettivo di (preoccupati di) viverlo, non perché si ambisce a vedere i risultati del nostro annuncio.
Questo criterio ci libera dal valutare la nostra missione di evangelizzazione attraverso logiche mondane, come quella dei numeri.
Direi di più. L’opera di evangelizzazione non può essere valutata, perché appartiene al vissuto del Vangelo. Se uno vive il Vangelo, evangelizza.
L’unico risultato da valutare è – semplicemente - la gioia che nasce dal vivere il Vangelo. Una gioia che spazza le tristezze, che nascono dalla percezione dei nostri fallimenti e ci dà il coraggio di continuare a vivere il Vangelo.
Se, qualche volta, nel nostro cuore, può affacciarsi la percezione di aver fallito nella nostra opera di evangelizzazione, chiediamo di trovare il coraggio nel nostro Dio di continuare a vivere il Vangelo, perché, solo vivendo il Vangelo, noi allontaniamo la tristezza della percezione del fallimento e ritroviamo la gioia del Vangelo.

  don Davide

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