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SANT'ANTONIO MARIA ZACCARIA

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Le vicende del mio ministero pastorale mi hanno fatto incontrare a 60 anni S. Antonio Maria Zaccaria (SAMZ). Morì nel 1539 a 37 anni, quindi quasi cinque secoli fa. Vidi subito in lui, nonostante la giovane età, un maestro eccezionale. E nel suo ministero una modernità e attualità incredibili.
Ho letto qualche biografia, soprattutto due di carattere divulgativo pubblicate in occasione del quinto centenario della nascita (a esse, che sono A. Montanari, Fuoco nella città, ed. Paoline e A.M. Erba e A. Gentili, Il Riformatore, ed. Ancora, mi sono ispirato per le osserva- zioni che seguono). Ho  letto  le poche lettere e i sette sermoni, uniche parole - con le Costituzioni - che sono rimaste di lui.
Ne traggo suggerimenti per la mia vita spirituale, e anche indicazioni precise per la comunità cristiana, soprattutto per quella che lo venera come Patrono e della quale sono a servizio.
SAMZ è un uomo deciso che suona la sveglia, la sentinella che lancia il grido d’allarme alla città addormentata: non può la comunità cristiana rimanere tranquilla nel solito tran tran, e neppure isolarsi nella quiete di un terreno privilegiato. Infatti un nemico prepotente sta trionfando senza incontrare resistenza, il peccato, cioè la negazione oppure l’effettiva emarginazione di Dio dalla vita dell’uomo. E ciò è male, soprattutto è ingiusto! Nel cuore del vero credente arde una prepotente necessità, quella di gridare l’amore di Dio.
Del resto l’uomo non raggiungerà mai la gioia alla quale aspira se non in Dio, perché è fatto proprio per andare a Dio. Ogni altra meta alternativa lo svilisce.
Il primo impegno della comunità cristiana è dunque la santità: deve lasciarsi “toccare” da Dio, diventare sua, realtà malleabile plasmata dalle sue mani. Deve riconoscere, contemplare, accogliere e gustare l’amore. Possiede tutti i mezzi che le occorrono.
Questo impegno di santità è in funzione della realizzazione della missione che Gesù Risorto le assegna, quella di procla- mare pubblicamente le opere di Dio e farsi tramite del suo amore a ogni uomo. SAMZ ha riassunto il tutto in quattro parole: occorre riformarsi per riformare.
Quel “riformarsi per riformare” mi mar- tella sempre nella mente, mirabile sintesi di una vita tutta fuoco. Mirabile sintesi di un programma spirituale e pastorale modernissimo.

Don Gregorio Valerio

Il carisma di Antonio Maria Zaccaria (1502-1539) è molto importante e anche attuale. Carisma è un dono di cui lo Spirito santo arricchisce la Chiesa, dato al singolo per l’utilità comune.
Zaccaria operò tenacemente per la “rinnovazione del fervore cristiano”. Ecco il suo carisma: una decisione ferma di operare per riportare il vangelo in una società ormai pagana, per riplasmare lo stile della vita della Chiesa e della società con la verità e gli ideali del Vangelo.
Si adoperò con tutte le sue forze per diffondere “la vivezza spirituale e lo spirito vivo dappertutto”, come desiderava facessero pure le sue amate Angeliche (lettera 5).
Ce n’era bisogno. Basta un minimo di infarinatura di storia per conoscere la decadenza spirituale dell’età nella quale visse (la prima parte del XVI secolo). Siamo in pieno Rinascimento. “Il Rinascimento con l’ideale di vita paganeggiante finì per penetrare nella compagine ecclesiastica raggiungendone i vertici” (cfr.Erba-Gentili, Il Riformatore, p. 76). L’uomo al centro, Dio a margine. Un dato che ci riguarda come Milanesi, molto significativo: i Vescovi normalmente non abitavano in diocesi, ne godevano soltanto i “frutti” da lontano. Milano praticamente non vide mai il suo Arcivescovo dalla fine del ‘400 a s.Carlo (siamo appunto nella prima metà del ‘500, il tempo in cui visse il  nostro Santo, dal 1502 al 1539).
Per rinnovare la vita della società c’era bisogno di “uomini nuovi”. “Antonio Maria si inserì nella grande corrente riformatrice che ebbe il suo coronamento con il Concilio tridentino (1545-1563) e l’opera di s. Carlo Borromeo (15381584)” (id. p.77).
Dunque un ideale altissimo nel cuore di s. Antonio, ma anche l’astuzia di una tattica vincente: se vuoi costruire un mondo nuovo, ti servono collaboratori come te infiammati del tuo ideale; non solo, ti servono collaboratori che prima di cercare di convincere gli altri, si sforzino di cambiar vita essi stessi: collaboratori umili.
Il suo progetto di riforma tendeva a coinvolgere tutto il  popolo di  Dio. Già nel 1528, anno della sua ordinazione sacerdotale, aveva dato vita, a Cremona, a un Oratorio di laici adulti impegnati nella pratica integrale del vangelo. E qualche anno dopo, a Milano, fondò i Chierici regolari di san Paolo, l’Istituto delle Suore Angeliche di san Paolo e infine promosse il gruppo dei cosiddetti Maritati.
Abbiamo la fortuna di possedere una specie di profilo del “riformatore” tracciato dal nostro Santo nel libro delle Costituzioni, al cap. XVIII. Scegliamo tra tutti, due i lineamenti caratteristici e fondamentali (ne riparleremo più avanti diffusamente): il riformatore è un uomo di preghiera, e in secondo luogo a lui è richiesta una “grandemente bassa umiltà”. La meditazione e l’orazione tengono l’uomo forte innanzi al trono di Dio: per questo conosce che cosa convenga fare e che cosa lasciare. E poi la sua umiltà non è soltanto consapevolezza del proprio limite contro ogni presunzione, ma detta anche un certo modo di accostare l’altro, improntato alla tolleranza, all’affabilità, alla compassione.
Dal rapporto con Dio la forza d’agire, dall’umiltà uno stile di intervento rispettoso e persuasivo.
Non è difficile riconoscere l’attualità del messaggio del nostro Santo. Dal punto di vista ecclesiale il nostro tempo è indubbiamente molto migliore. Se però guardiamo alla cultura dominante, troviamo molte analogie tra il nostro e il suo tempo.
Anzi, sembra che oggi l’emarginazione di Dio sia molto più accentuata, abbiamo sostituito a Dio le cose, al cielo la terra. L’uomo non conosce Gesù né la sua opera di salvezza. Lo stile di vita è indubbiamente pagano, materialista e sensuale. Il Vangelo non è regola di vita. Addirittura l’uomo ha cancellato i comandamenti di Dio. Non è giusto emarginare l’Amore. Non è bello, anzi è radice di ogni iniquità dimenticare Dio: il Dio che ci ha creati, che ci ha redenti e liberati dalla morte con il dono di sé. Un cristiano che dice ogni giorno il Padre nostro non può non infiammarsi d’amore per il Padre e di passione per i grandi ideali per i quali prega, e che furono gli ideali di Gesù. Un cristiano che ama l’uomo non si rassegna davanti alla diffusissima ignoranza religiosa, e vorrebbe a tutti parlare delle “cose mirabili” compiute da Dio nei confronti dell’uomo.
Ecco l’ardore interiore di s. Antonio M. Zaccaria.
Ma come  raggiungere oggi questo uomo così saccente, così distratto, così prevenuto? La strada è la stessa indicata dal nostro Patrono cinque secoli fa: la riforma di se stessi. “Occorre riformarsi per riformare”.
L’incontro con san Paolo
Fondamentale fu l’incontro di Antonio Maria Zaccaria con san Paolo: gli è stato maestro nell’amore e nella sequela di Cristo.
Le memorie più antiche presentano lo Zaccaria come fidelissimus sectator, un autentico appassionato seguace dell’apostolo Paolo, che viene indicato come patrono, guida e modello delle tre congregazioni da lui volute per la riforma della Chiesa, le prime nella storia della Chiesa ispirate all’Apostolo delle Genti. Ci si può domandare il perché di questa scelta: ne troviamo una spiegazione negli scritti di Antonio Maria, il quale nella predicazione e nella direzione spirituale punta a una conversione “violenta” delle anime, proprio come quella improvvisa di Saulo sulla via di Damasco. Volontà decisa e “fuoco” dello spirito sono alla base di tutto il suo pensiero e della sua attività: si tratta di distruggere l’uomo vecchio e di edificare quello nuovo (cfr Fuoco nella Città, p. 74).
Innamorato di san Paolo, egli vuole vivere e trasmettere il fuoco dello Spirito che ardeva nel cuore dell’Apostolo perché coglie in lui il modello di un combattimento continuo e implacabile contro la mediocrità, l’esempio luminoso proprio di chi ha abbracciato la “stoltezza della Croce” per giungere alla “sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”.
Il passaggio da Saulo (“figura dell’uomo imperfetto”) a Paolo (“vivo esempio” di Cristo) è indice del cammino di conversione. “Ecco Saulo, cioè la faccia del primo uomo nostro e la similitudine delle prime nostre male inclinazioni ovvero passioni”. Ed ecco Paolo, che ha raggiunto “un essere interiore ed esteriore da santo” (cfr Il Riformatore, pag 72).
“Evidentemente, Antonio Maria aveva scelto Paolo per modello anche perché vi scopriva non comuni consonanze sul piano del carattere. Dell’apostolo  gli piacevano soprattutto la capacità risolutiva, il rifiuto di ogni compromesso e della mediocrità, lo spendersi senza risparmio e quel misto di intransigente durezza e di tenerezza nei confronti dei suoi, nonché l’aver dato retta a Cristo una volta per tutte. Il tipo ideale, insomma, per un “decisionista” come lui” (cfr. Fuoco nella città., p. 75).
L’uomo esiste per essere di Dio, santo
Un avvocato di Cremona scrisse un giorno ad Antonio M. Zaccaria per chiedergli qualche consiglio per comportarsi da buon cristiano nella sua professione.
Il Santo, in quei tempi, aveva dovuto abbandonare la sua città, Cremona appunto, ma vi aveva lasciato un vivo desiderio di rinnovamento spirituale che la sua infuocata predicazione aveva acceso. Erano molte le persone che, ascoltatolo, avevano deciso di cambiare vita, di “riformare” se stesse secondo un programma rigoroso e impegnativo.
Non sono poche le raccomandazioni che il Nostro fa per vivere bene la quotidianità in famiglia: delicatezza verso la moglie, cura della santità del rapporto coniugale, corretta educazione dei figli, rispetto nei confronti degli anziani...
Dunque la risposta all’avvocato Magni (così si chiamava), è un piccolo capolavoro di spiritualità, redatto davanti al Crocifisso (è lui il maestro, lì è la “cattedra”): “stando davanti al Crocifisso, per voi, continuamente, facendomi imparare quello  che  a voi vorrò poi insegnare”.
Tra i suggerimenti, il primo è quello di tenersi uniti continuamente a Dio, nei vari momenti della giornata, in ogni maniera (ciascuno può cercarsi quella che maggiormente gli si addice), soprattutto prima dei vari impegni. L’obiettivo della preghiera, almeno uno dei più importanti, è introdurre Dio nella concretezza della vita, perché da Lui provengano l’ispirazione e la forza delle decisioni. Soprattutto nei dubbi e nelle difficoltà, occorre “ragionare” con Cristo esponendogli la situazione, dirgli la soluzione che si ha intenzione di prendere, chiedergli il suo parere che senz’altro non mancherà: basta insistere. “Fate mo’, Carissimo...: che così ragioniate famigliarmente come fareste con me e confabuliate ( = discorriate) delle vostre cose col Crocifisso, e con quello ve ne consigliate...”.
Capita anche di trovare difficoltà a raccogliersi, “per essere l’uomo ( = giacché l’uomo è) naturalmente vagabondo con l’intelletto”, oppure essere affaccendati in cose che “disuniscono”. Con Gesù bisogna allora comportarsi come con un amico, che ci sta a fianco e ci osserva mentre svolgiamo i nostri doveri. Pittoresco il riferimento alla vita concreta: può succedere, dice press’a poco, che ti venga a trovare un amico in un momento in cui sei parecchio affaccendato, non puoi interrompere il lavoro, lasciare i conti a metà. Ti rivolgi a lui, lo fai sedere, gli spieghi la situazione, e poi continui il tuo lavoro: egli ti osserva, e anche tu di tanto in tanto lo guardi, l’inviti a pazientare ancora un po’. La presenza dell’amico non disturba affatto, anzi. Così si dovrebbe condurre la giornata, nella certezza che Gesù ci sta a fianco e ci guarda, rivolgendo di tanto in tanto anche noi l’attenzione a lui. “Se terrete questo modo, vi abituerete a fare orazione facilmente... Altrimenti facendo, sarete buon uomo, ma non buon cristiano”.
Interessante è anche il suggerimento di sforzarsi durante la preghiera di conoscere l’esercito agguerrito dei propri difetti e ammazzarli tutti, a cominciare dal “capitano”, cioè dal difetto principale. “Trovatelo e ammazzatelo”, conclude il Santo. “Se osservate queste cose predette, facilmente andrete al Crocifisso e Croce”.
L’esortazione alla santità è l’esortazione finale che SAMZ rivolge ai coniugi Laura e Bernardo Omodei, in una lettera inviata quindici giorni prima della morte. “Spasimo di desiderio della vostra perfezione scrive -, guardatemi il cuore, che io ve lo mostro aperto. Io son per ( = sono pronto a) spargere il sangue per voi, purché facciate questo”. “Vorrei che aveste l’occhio vostro a fare ogni dì qualche cosa di più, e scemare ( = diminuire) ogni dì qualche appetito ( = tendenza) e sensualità, ancorché vi fosse concessa; e questo per amore di voler crescere in virtù, e diminuire le imperfezioni, e fuggire il pericolo di cadere in tiepidezza”... “Vorrei, e desidero e voi siete atti, se volete che diventiate gran santi, purché vogliate crescere ( = sviluppare) e restituire più belle quelle parti (doti, talenti) e grazie al Crocifisso, dal quale le avete avute. Io, per tenerezza e affetto d’amore che vi ho ( = che ho per voi), pregovi vogliate essere contenti di compiacermi in questo”.
Il primo passo: la conversione
Antonio parla di santificazione soprattutto nel sermone terzo, quando tratta del terzo comandamento “Ricordati di santificare il sabato...”.
Che cosa  significa  santificazione?, si chiede. “Santificazione vuol dire purità di mente... Santificazione vuol dire lasciare l’uomo vecchio e seguire l’uomo nuovo, cioè lo spirito e così camminare al bravìo ( = premio) della patria celeste... Santificazione vuol dire amare Dio sopra tutte le cose; e per suo rispetto, il tutto; e amare gli amici in lui e amare i nemici per lui... Santificazione vuol dire convertirsi a Dio...”.
Già s. Agostino diceva, rivolgendosi a Dio: “Felice chi ama te, l’amico in te, il nemico per te” ( Confessioni, libro IV, 9.14).
C’è un cambiamento interiore da conquistare, soprattutto tramite la preghiera, in particolare la meditazione dei propri peccati e quella dei benefici di Dio. “E’ necessario unirsi con Dio, elevare la mente, fare l’orazione e in più contemplare”. Ecco: rimettere Dio al centro della vita, perché sia lui a dirigerla.
Occorre  inoltre  compiere  alcune  azioni esterne. “Estrinsecamente ti convertirai a Dio leggendo qualche cosa della Scrittura, dicendo Salmi ovver cantandoli; e in più offrendogli il sacrificio..., il sacrificio principalmente che è il sacrificio dei sacrifici, la Santissima Eucaristia”. “Non c’è da meravigliarsi se l’uomo si è intiepidito e diventato bestia: perché non frequenta questo Sacramento. La principale adunque conversione che fai a Dio, si è di ( = consiste in) questo cibo. Vacci, carissimo, vacci: non v’è cosa  che  più ti  possa santificare, perché ivi è il Santo dei Santi”. 
Tutti sono chiamati alla santità
“L’uomo è fatto e posto in questo mondo principalmente e solo acciocché vada a Dio, e tutte le altre cose lo aiutano a questo”, si legge nel sermone sesto. E anche: “Sarebbe una gran cecità, se tu non riconoscessi di essere fatto per questo: acciocché cammini a Dio”, per fare della vita un cammino verso Dio.
Essendo Dio inaccessibile, la scala per salire a lui sono le creature. Le creature sono “il Libro che doveva leggere l’uomo per camminare al suo Signore”. “Prima che l’uomo peccasse, questo Libro aveva le lettere belle,  fresche, ben formate e appariscenti. Dopo il peccato dell’uomo, le lettere di questo Libro contrassero una certa imperfezione ed oscurità: e non si cancellarono, no; ma diventarono tutte vecchie, mal leggibili e quasi invisibili”.
“Che fece Dio? Fece un altro  Libro, cioè il Libro della Scrittura, nella quale riparò quel primo e gli pose dentro quello di buono che era delle creature”.
Ma non è tutto. Dio è venuto incontro all’uomo  facendosi  uomo:  “Ha  voluto ancora congiungersi al tempo, alle tenebre, alla corruzione e alla sentina delle imperfezioni”. Gli infuse “un desiderio inestinguibile di gustare Dio..., un continuo scontento in tutte le cose del mondo e un continuo bramare le cose del cielo” “Oh,  bontà  grande!  Oh,  inestimabile carità! Dio farsi uomo! E perché? Per ridurre l’uomo a Dio, per insegnargli la strada, per dargli lume. E poi come dir potrai che Dio non ti abbia fatto per andare  a  lui?”.  “Come  negherai  di  non esser fatto solamente per andare a Dio? Sarebbe una gran cecità, se tu non riconoscessi di essere fatto per questo: acciocché cammini a Dio”.
 Queste indicazioni hanno un’anima, partono da un fuoco: la scoperta, lo stupore, la gioia, il grazie per l’amore che Dio nutre nei confronti dell’uomo. Tali attenzioni del cuore l’uomo alimenta soprattutto la domenica. Infatti la domenica è da valorizzare per l’apertura a Dio al fine di lasciarsi conquistare dal suo amore. “Dio ti concede di lavorare per sei giorni; ti comanda che in quel settimo tu ti converta a Dio” (terzo sermone).
Dio ha faticato per l’uomo, ha “creato per lui il cielo, l’aria, la terra e ciò che in loro si contiene” e “matto” è chi non lo riconosce. “Ingiusto però sarebbe chi “non gli concedesse qualche frutto e ricognizione (= riconoscenza)”.
E poi Dio ci governa con amore. “La nutrice, il pedagogo ha il suo stipendio: E Dio è più che nutrice, più che pedagogo, più che padre e madre”.
Inoltre Dio ci protegge e  libera. “Considera da te stesso come mirabilmente Dio ti aiutò la tale e la tal altra volta”.
Dunque, in conclusione, “quanto più la creatura è eccellente e nobile, tanto maggior obbligo ha di rendergli maggior frutto”. 
In che cosa consiste la vita spirituale?
Leggiamo nel sermone secondo: “La vita spirituale vera consiste in questo: che l’uomo abbia  sempre  l’intenzione sua  a Dio, e altro non brami che Dio, e di altro non si ricordi che del medesimo Dio, anzi, che ogni sua incepta ( = azione) la incominci (dopo avere) invocato il nome del suo Signore, ed a Lui la redrizzi ( = diriga); e brevemente ha raccolto  ogni suo intendere, volere e smemorare ( = ricordare), sentire e operare nella Bontà divina; e insieme il cuore e la carne esultano nel Dio vivo (salmo 83,2); e Cristo vive nell’uomo, e non più esso uomo (Gal 2,20); e l’anima sua è governata dallo Spirito di Dio come il corpo dall’anima; e lo spirito suo gli rende testimonio che sono figli di Dio (Rom 8,16) e che sono un esemplare vivo di Cristo, tanto che dicono con l’Apostolo: ‘Siate imitatori di noi, come noi di Cristo’ (1 Cor 4,16), quasi dicessero: Volete il vivo esempio di Cristo? Guardate in noi”.
 Possiamo notare l’impostazione trinitaria della vita spirituale: Dio come unico e costante riferimento, oggetto vero del desiderio dell’uomo; Cristo come vita dell’uomo; lo Spirito santo come maestro interiore, testimone del rapporto filiale con Dio, che rende ciascuno simile a Gesù.
 “Questa vita non è impossibile da conseguire”.  SAMZ  nel  primo  sermone  dice: “Non puoi accusare Dio di comandarti cose sproporzionate  alle  tue forze. La legge tua è legge di amore; la legge tua è il soave giogo; la legge tua è il refrigerio del cuor tuo; il riposo tuo e la vita tua”, perché Gesù è venuto in terra per darci la vita e in maniera sovrabbondante.
Ciò non toglie però che la vita spirituale sia “difficile”.
Per fortuna esiste in ciascuno un “gusto” di Dio che fa da motore inarrestabile verso di lui. “Questo è un cibo, che chi ne mangia ancora ne desidera; ed è un bere, che chi l’ha gustato ancora ne vorrebbe; e, in un certo modo, ti estingue la sete e te la causa; e chi non lo gusta non lo intende, e chi non lo sperimenta non sa l’effetto di questo vino”.
Inoltre Dio stesso rende possibile la vita spirituale, perché ama sempre, il suo amore è più forte di ogni altro amore. Dio “si fa tuo amoroso ( = amante), e figliuolo, e padre, e madre insieme, e sempre sta con te; anzi, se tu fornichi  e sparti da lui ( = se lo tradisci e te ne allontani), Egli ti ricerca, ti chiama e di continuo ti invita. E pochi sono stati quelli che l’abbiano gustato e siano spartiti ( = si siano divisi) da Lui... Beati quelli che stanno nell’abisso di quella Dolcezza eterna!”.
Senza un fermo proposito non si  fa nulla
“Concludi, dunque, e dì: Io voglio vivere spiritualmente, io voglio diventare un medesimo spirito con Dio, io voglio che la mia cittadinanza sia in cielo, io voglio avere Dio sempre nel cuore” (sermone secondo).
Importante la fermezza della decisione iniziale.
Da Cremona, il 4 gennaio 1531 SAMZ scrive “ai molto onorandi Messer Bartolomeo Ferrari e Messer Giacomo Antonio Morigia” una lettera la cui motivazione compare alla fine: si tratta di una specie di rimprovero per due inadempienze. La prima: Siete molto negligenti circa il finire di stampare il libro. La seconda: Non ho notizie di come stia andando la “cosa” del “poveretto Giovanni Hyeronimo”. “In me ben vi voglio scusare, ma guardate mo’ voi nella coscienza vostra se siete degni di scusa o di riprensione”.
Il Santo si trova quindi dinanzi ad alcuni adempimenti non condotti a termine. E la cosa potrebbe denotare la presenza di un vizio: la irrisoluzione, la mancanza cioè di fermezza di volontà nel condurre a termine un impegno. Può non essere questo il caso, ma certo quella “mala erba” è molto diffusa.
La lettera è una messa in guardia contro tale vizio. Pare quasi di leggere qualche brano di san Paolo quando approfitta di situazioni concrete per offrire indicazioni generali di vita spirituale molto importanti.
Dio vi conceda “stabilità e risoluzione”, è la preghiera con la quale inizia la lettera.
Quando Dio ha fatto l’uomo, l’ha voluto “volubile e mutabile”, quindi non un fossile. Ma per finalità positive: perché non si stabilizzasse nel male, ma passasse al bene e perché da un bene passasse a  un altro migliore. Diremmo che è fondamentale per la vita spirituale la possibilità di progredire mutando.
In realtà l’uomo fa un uso cattivo di questa capacità: fa uso della sua mutabilità non tanto nel fuggire il male quanto nell’impigrirsi nei confronti del bene. Il Santo si stupisce delle indecisioni sulla via del bene,  l’irrisoluzione  “regna”, quindi è molto diffusa. E ammette: “Già molti anni è regnata nell’anima mia”. “Sono certo, se considerassi profondamente i mali che procedono da tale irrisoluzione, già molto tempo fa avrei estirpato questa mala radice”.
L’irrisoluto non si muove, si trova attratto da opposte calamite che lo bloccano perché non sa risolversi né per l’una né per l’altra. Di uno che vuole amare due cose contrarie il proverbio dice: “Chi due lepri caccia, una fugge, e l’altra smappa ( = scappa)”.
Non solo, l’irresoluto è “uomo mutabile come la luna”, perennemente inquieto e volubile.
E’ irrisoluto l’uomo non guidato dallo Spirito Santo e quindi superficiale. Lo è l’uomo “tiepido”: “questa irrisoluzione è effetto e causa della tiepidezza” perché l’uomo tiepido, quando prende in esame una certa situazione, sa evidenziare le ragioni per l’una o per l’altra eventuale presa di posizione, ma non si decide per nessuna. Questa incapacità a prendere posizione si allarga a macchia d’olio: “Se dapprima eravate dubbioso un dito, ora vi lascia dubbioso un braccio”. “L’uomo irrisoluto si raffredda ed intiepidisce”. “Mentre l’uomo dubita, non opera”.
Due sono le vie indicate dal Santo per fuggire questo vizio: una è, diciamo noi, offerta dalla Provvidenza e coincide con l’urgenza di dover prendere certe decisioni. In questo caso “eleviamo la mente a Dio, pregandolo di ispirarci quello che dobbiamo fare” e se seguiamo “l’istinto dello Spirito non fallaremo ( = sbaglieremo)”. L’altra strada è quella di stare alle indicazioni del “padre dell’anima nostra”.
Pessimo effetto della irrisoluzione è la negligenza. Dio non la vuole.      Possiamo  sì  e  dobbiamo  ponderare  bene  la situazione e nell’eventualità chiedere consiglio, ma poi occorre passare all’azione. “Nella via di Dio la potissima ( = prima fra tutte) cosa che si ricerca è la prestezza e sollecitudine”.
E poi “i veri amatori di Cristo sono sempre stati ferventi e diligenti, e non negligenti, alla barba nostra”.
La conclusione del discorso: “Orsù, fratelli, levatevi ormai, e venite meco insieme, che voglio che estirpiamo queste male (= cattive) piante (se pur si trovano in voi); e, se non sono in voi, venite ad aiutare me, perché le ho piantate sopra il mio cuore”. L’allarme che il Santo lancia è innanzitutto per se stesso e a partire dalla propria esperienza negativa soprattutto del passato. Parla della sua “negligenziaccia” e di “tardità nell’opera” ( = lentezza nell’agire) che gli impediscono di iniziare l’opera “ovvero almeno la conduco tanto alla lunga che mai non la finisco”.
Occorre alla  irrisoluzione contrappone l’azione decisa soprattutto nel servizio all’altro visto come “sacramento” di Dio. E’ al termine della lettera la frase famosissima: “Se finora in noi è stata alcuna irresoluzione gettiamola via, insieme con la negligenza: e corriamo come matti non solo a Dio, ma ancora verso il prossimo, il quale è il mezzo che riceve quello che non possiamo dare a Dio, avendo egli bisogno dei nostri beni”.
La tiepidezza, massimo ostacolo sulla via della perfezione
L’irrisolutezza può nascere dalla tiepidezza, “questa pestifera e maggior nemica di Cristo Crocifisso, la quale sì grande regna nei tempi moderni”, scrive nella lettera quinta alle Angeliche.
Data la sua idea battagliera della vita spirituale, considera la tiepidezza come l’ostacolo più minaccioso per il fervore, che è per lui caratteristica dei “veri amatori di Cristo”.
In una serie di Sermoni egli si riprometteva di analizzare le cause della tiepidezza e i modi per eliminarle. Purtroppo ci è rimasta soltanto la seconda parte del sermone sesto che ne parla.
Si chiede da dove nasca questo atteggiamento spirituale tanto nefasto. Dall’accontentarsi del minimo indispensabile, risponde. E’ vero che Gesù indica alcune cose come indispensabili, altre invece come consiglio. Ma lo fa non perché ci si limiti alle prime trascurando le altre, ma perché lo scoraggiamento non prevalga, perché si proceda verso il meglio con gradualità. Occorre essere incoraggiati a iniziare “e poi, firmati ( = stabilizzati) alquanto, pian piano ascendere alla perfezione”. “Incomincia pure a fare il bene, che di necessità andrai più avanti e diventerai migliore”. Insomma l’aspirazione concreta verso la perfezione non deve venire mai meno.
Purtroppo, l’insegnamento di Gesù è stato mal interpretato, e così non si cammina più verso il meglio indicato dai consigli. Con il grosso rischio di arrivare al punto di non osservare più neanche i precetti. Il Santo così ammonisce: “Chi vuol fuggire il pericolo di non cascare contro i precetti, è necessario che osservi i consigli”. “Chi si dimentica delle piccole cose, casca nelle grandi”. “Vuoi tu non cascare nell’acqua? non le andare appresso. Vuoi tu non rompere ( = trasgredire) i precetti? Osserva i consigli. Vuoi tu non far peccati mortali? Fuggi i veniali. Vuoi tu fuggire i veniali? Lascia qualche cosa lecita e concessa”.
“Il non andare avanti nella via di Dio e lo stare fermi, è un ritornare indietro”.
 La motivazione profonda della ferma decisione dell’uomo nel rispondere a Dio sta in Dio stesso, che tutto si è donato, senza riserve. “Dio non ha  abbandonato tutta la roba, tutto l’onore, tutta la sanità per te, e come ha detto Egli che ha potuto fare e non abbia fatto (Is 5,4)? E mo’ tu vorresti servirlo, amarlo, onorarlo limitatamente, e non di più? Non dir mai più così!”.
Ciò che SAMZ dunque non poteva sopportare è la mediocrità, il non rispondere subito  “sì” agli appelli dell’ideale, in altre parole la tiepidezza, “pestifera e maggiore nemica di Cristo Crocifisso”. La sua è una proposta di radicalismo evangelico che finirà per scuotere un mondo religiosamente languido come quello del Cinquecento (cfr. Fuoco nella città, p. 30).
Della tiepidezza parla diffusamente anche nella già citata ultima lettera ai coniugi Omodei: “Dandovi a Cristo, desidero di voi che non cadiate in tiepidezza, ma che cresciate di continuo; perché se per caso vi lasciaste allacciare dalla tiepidezza, non diventereste spirituali, ma sareste più presto carnali, e sareste diventati più presto farisei, che cristiani e spirituali”. Il fariseismo è per lui la mediocrità, e precisa: “Il tiepido, ovvero fariseo, fa questo: che, convertendosi, lascia i peccati grossi, ma si diletta poi di quelli piccoli, ovvero non ha rimorso di coscienza dei peccati piccoli”.
Il cammino verso la perfezione è un cammino graduale
“E’ necessario che l’uomo che vuole andare a Dio vada per gradi, e ascenda dal primo al secondo e da quello al terzo, e così successive ( = di seguito)”, spiega nel primo sermone. Se noi dobbiamo verificare poco  profitto  nella vita spirituale è perché dimentichiamo questa legge della gradualità. “La causa dunque del nostro poco profitto... è perché non osserviamo il debito ordine; e vogliamo essere maestri avanti che discepoli”.
E’ necessaria una certa gradualità per andare a Dio, come appunto  salire su una scala: “Non può incominciare dal secondo gradino e lasciare il primo, perché le gambe sue sono troppo corte, i passi suoi sono troppo brevi”.
Per giungere per esempio a seguire la legge di Cristo, occorre premettere l’osservanza dei precetti del Decalogo, soprattutto del primo precetto, quello dell’”onore di Dio”. Se tu ti osservi attentamente “ti riconoscerai prevaricatore di questo comandamento: e, in prima ( = innanzitutto) che tu hai gli dei alieni nel cospetto di Dio”.
Risultano molto utili le indicazioni sintetiche del due lettere sopraccitate all’avv. Magni e ai coniugi Bernardo Omodei e Laura Rossi. “Voglio dirti che Dio comincia dall’alto e viene in basso; ma l’uomo, volendo ascendere, comincia dal basso e va all’alto; cioè l’uomo lascia prima l’esteriore ed entra nel suo interiore, e da quello va alla cognizione di Dio”.
Per prima cosa egli dovrà pregare in ogni tempo e senza interruzione...
“Quello che vuole diventare spirituale... comincia a tagliar via da sé, e quando un dì ha tagliato via una cosa, l’altro dì ne taglia via un’altra, e così va perseverando”...
“Bisogna che sempre tu intenda di passare più avanti e in cose più perfette”... “Cerca sempre di aumentare quello che hai incominciato e in te e negli altri, perché la sommità della perfezione è infinita”.
 
E, sempre nella lettera più volte citata agli Omodei, scrive: “Non dico che facciate ogni cosa in un giorno, ma ben dico: vorrei che aveste l’occhio vostro a fare ogni dì qualche cosa di più, e scemare ( = diminuire) ogni dì qualche appetito ( = tendenza) e sensualità, ancorché vi fosse concessa; e questo per amore di voler crescere in virtù e diminuire le imperfezioni, e fuggire il pericolo di cadere in tiepidezza...”.
La provvidenzialità e i pericoli delle passioni
Per camminare verso Dio è fondamentale la lotta contro i vizi. E’ necessario che l’uomo conosca i propri difetti e “maxime il difetto e vizio che è il capitano generale in voi e ottiene il principato sopra gli altri in voi”, scrive all’avv. Magni.
E nel sermone quarto: “Se l’uomo deve andare a Dio ed acquistare l’amor suo, è necessario che si purghi ( = liberi) da tutte le passioni, le quali per la maggior parte sono fondate nel corpo e perciò hanno bisogno di rimedi corporali....”. Fa un certo elenco di passioni.
Di esse SAMZ parla diffusamente nel sermone quinto. Riflessioni che riprendiamo volentieri.
Le passioni sono un bene per l’uomo: è questa l’affermazione iniziale. Infatti esse sono naturali, cioè vengono da Dio e da Dio non può venire che bene. “Maligno sarebbe o ignorante chi dicesse che le predette inclinazioni o passioni essere male e cattive; perché, essendo naturali e per conseguenza da Dio, incolperebbe esso Autore”. Da parte sua Dio “ha posto nell’uomo le passioni per utilità sua. Se le vuole mo’ ( = ora) adoperare in male, faccia come vuole: il danno sarà suo”.
Ed ecco allora la seconda affermazione: le reazioni istintive o passionali di fatto possono avere un duplice effetto, buono o cattivo (SAMZ introduce a questo punto una digressione per ricordare i troppi mali che derivano dalla passione dell’ira: “Ti fa povero di ogni virtù e schiavo di tutti i vizi, e un vasello pieno di perturbazioni”).
Dunque è doveroso per l’uomo governare le passioni: “le può governare oltre i primi moti, i quali ancora se vuole li può sminuire e smorzare in tal modo, che poco danno facciano a quelli che sono savi e stano sempre svecchiati ( = con gli occhi aperti)”. E lo può perché dotato  di libero  arbitrio, un dono questo preziosissimo: “ E’ tanta l’eccellenza del libero arbitrio, mediante la grazia di Dio, che l’uomo può diventare e demonio e Dio, secondo che gli pare”; “Oh, miseria e felicità degli uomini, se la conoscono: perché in loro potestà è di diventare buoni e mali, secondo che loro pare!”.
Ma il male, sembra dire il Santo, è inevitabile. Però anche questa situazione deprecabile ha una sua provvidenzialità, conduce infatti all’umiltà. In tuo potere è non soltanto scegliere tra male e bene, ma anche fare sì che “il male ti sia utile e proficuo”. L’uomo ne guadagna soprattutto in umiltà. “Dai peccati già commessi o dai beni omessi, l’uomo ne cava una profonda cognizione della viltà e della miseria sua, per la quale non si reputa degno  di vivere, manco  poi di fare cosa grata a Dio: dalla quale estimazione nasce una profondissima umiltà, la quale, di quanta utilità sia, lo sanno coloro che hanno in se medesimi questa virtù”.
I due grossi pericoli della superbia e dell’uso perverso della lingua
In contrapposizione all’elogio dell’umiltà viene in mente, forse  anche per il calore col quale ne parla, quello che SAMZ ritiene “il primo nemico di Dio, la superbia”. Siamo nel primo sermone. L’inizio dell’apostatare da Dio è la superbia. Lo fu anche per il demonio. E “non v’è maggior superbia del giudizio e non v’è cosa, per la quale Dio più abbandoni l’uomo, che per il giudizio. Per ogni luogo della Scrittura Dio grida che non giudichiamo gli altri, bensì noi; e tanti esempi recitano i Santi nel condannare questo giudicare, che si finirebbe il giorno pur a contarne una particella. Abbia questo per conclusione: che il principio del rovinare il vivere spirituale si è il giudizio”.
Parole severe contro il difetto sempre diffusissimo di sparlare e di giudicare, bollato come il maggiore atto di superbia. Difetto mortale per ogni convivenza nell’amore.
E così sono quanto mai attuali gli ammonimenti sull’uso perverso della lingua: “Custodisci i tuoi sensi, e, sopra tutti gli altri, la lingua tua, perché è piccolo membro, ma spesso causa di gran male”. “Il principio della rovina tua e che la mente tua vada vagabonda, è che la tua lingua non è corretta ed emendata”. “Concludi e dì: la causa della mia imperfezione e che io non ascenda alla stabilità della mia mente, è la mia lingua... Perché la mente tua (continua il nostro Santo sempre nel sermone secondo) è come un mulino nell’acqua, il quale  ha la ruota sua che sempre cammina; così, la mente tua sempre  lavora”.  Riprendendo  san  Giacomo (1,26) conclude: “Chi dice sé essere religioso e non raffrena la lingua sua, la Religione di costui è vana”.
La meta del cammino di santità è la carità
“La carità è sola quella che vale; tutto il resto  delle virtù, senza quella, non giova un pistacco ( = nulla)”. Conviene leggere qualche passo del sermone quarto, dove il tema della carità è trattato con una certa ampiezza.
C’è chi pone tanta cura e attenzione alle parole che dice, nell’illusione magari di essere per ciò stesso perfetto. Ora l’eloquenza senz’altro ha la sua utilità. Nondimeno è “poco utile, anzi molto nuoce senza la carità, perché è piena di foglie e ha pochissimi frutti”. Si rischia di essere come la campana “la quale chiama gli altri all’uffizio e alla predica, e mai ci va”.
Allo stesso modo, senza la carità la “scienza poco vale”, e così la “cognizione delle cose segrete”, perfino l’elemosina, a volte anche lo stesso martirio. “E’ necessario, è necessario  ti dico avere questa carità, che è l’amore di Dio, che ti rende a lui gradito”. “Senza l’amore di Dio non si fa nulla; da questo amore ogni cosa dipende”. La motivazione sta nella vita e nell’insegnamento di Gesù.
Ma come acquistare la carità? Il modo di acquistare, aumentare e crescere la carità, e che per altro offre un chiaro criterio di verifica mostrando se essa ci sia o meno, è l’amore verso il prossimo.
“Dio ha posto l’uomo per nostro assaggio ( = prova), perché se hai un amico caro, ancora avrai a caro quelle cose che lui ama e delle quali ha stima. Pertanto avendo Dio tanta stima dell’uomo quanto ha avuto, saresti ben crudele e poco amatore di sua Maestà e Bontà se di una cosa, che così carestiosa ( = assai cara, come sono assai cari i beni comperati a prezzo di carestia) gli costa, non ne facessi grandissimo conto”.
In parole povere: tu dici di amare Dio. Devi dimostrarlo amando quello che lui ama. In primo luogo l’uomo: egli lo ama infinitamente, non esita a spendere tutto pur di riaverlo. Se ami Dio, non puoi non amare l’uomo!
“Vuoi tu, carissimo, santificarti? Imita Cristo, imita Dio, sii misericordioso..., ciba il famelico, abbevera il sitibondo, vesti l’ignudo, accogli il pellegrino, visita l’infermo, libera il carcerato; prevedi le opere tue, falle per amor di Dio, abbi l’intenzione retta; eleggi il meglio, eseguisci il bene, in tutto la carità ti muova”.
La ricerca della perfezione è orientata all’apostolato come al suo scopo
Campo privilegiato per l’esercizio della carità è l’impegno per la salvezza spirituale del fratello. SAMZ fu il riformatore del suo tempo, tempo difficile, lontano da Dio. L’ideale che l’animava era risvegliare lo spirito religioso nel clero secolare e nel popolo di Dio. Invitò altri in quest’opera difficile. “Il nostro divin Padre (cioè fra Battista da Crema, che SAMZ ebbe come direttore spirituale, considerato allora dai Barnabiti   e    dalle    Angeliche addirittura “primo nostro padre e fondatore”) scrive nella VII lettera “voleva che fossimo piante e colonne (1 Tim 3,15) della rinnovazione del fervor cristiano”.
I suoi tre istituti erano visti più o meno come milizie scelte, da preparare, perché fossero poi in grado di intervenire adeguatamente. Una volta conseguito il radicale rinnovamento all’interno delle milizie scelte come sono gli istituti religiosi, si potrà  puntare  con successo all’ardua impresa di rivitalizzare il tessuto morale della società (cfr. Il Riformatore, p. 77).
 Abbiamo già parlato delle due qualità specifiche fondamentali del Riformatore, lo spirito di preghiera e l’umiltà. Soffermiamoci ora più diffusamente sull’identikit del Riformatore a partire dal cap. XVIII delle Costituzioni.
Al Riformatore raccomandava innanzitutto di prendere atto della situazione: “Quando vedrai e ... comprenderai che i buoni costumi sono posti al basso e che la tiepidezza è in alto, allora alza gli occhi sopra l’Onor di Dio e lo Zelo delle anime, ed esperimenta se in qualche modo puoi mettere in alto i buoni costumi”. Come a dire che all’azione si giunge se c’è dentro un fuoco che brucia, il fuoco dell’amore per Dio e il desiderio della salvezza delle anime.
Sono otto le qualità del buon Riformatore.
Occorre che agisca con prudenza, che sia “pieno di occhi davanti  e dietro” e quindi non sia “né precipitoso, né troppo tardo”, scegliendo l’opportunità, il luogo, il tempo, nonché collaboratori convenientemente virtuosi.
Secondo: “Bisogna che tu sia di cuore e animo grandi, perché contro questa impresa si levano tanti e tanti contrari ( = contrarietà), tante e tante cose di dentro e di fuori, che sogliono sbattere e soffocare gli animi deboli...”.
Terzo: “Bisogna che nella tua impresa tu sia perseverante perché molti incominciano gagliardamente e poi cessano...”.
Quarto: “Bisogna che tu sia di grandemente bassa Umiltà. A chi non son dolci in cibo gli obbrobri, chi non gusta nel bere gli scherni, chi non cerca con sommo studio e non ritrova l’umiltà: a questi non conviene riformare i costumi...”.
Quinto: “Bisogna che tu sia, per la molta Meditazione e Orazione, sempre sospeso...”, che viva cioè in costante clima di preghiera.
Sesto: “Bisogna che tu sia di grandemente buona e dritta intenzione”. Su questa qualità SAMZ si sofferma ricordando tentativi falliti di riforma a causa della mancanza di questa “buona e dritta intenzione”. “Sia adunque diritta l’intenzione, per il puro Onore di Dio; sia buona, per l’utilità del prossimo: sia stabile e ferma, per il disprezzo di se stesso”.
Settimo: “Bisogna che sempre tu intenda ( = ti proponga) di passare più avanti e in cose più perfette... Vuoi tu ben riformare i costumi? Cerca sempre di aumentare quello che hai incominciato in te e negli altri, perché la sommità della Perfezione è infinita”. Il lavoro di riforma personale ed ecclesiale è un cammino non mai terminato, ha in sé un dinamismo inarrestabile.
Da ultimo occorre una illimitata fiducia in Dio: “Bisogna che sempre tu confidi nell’Aiuto divino e conosca per esperienza che quello non ti deve mai mancare. Le cose divine non si pertrattino ( = siano esercitate) se non dai divini”.
L’uomo  è  realtà  preziosissima  per Dio
L’impegno per la riforma traduce l’amore  per  Dio  nell’amore  per  l’uomo che per Dio è realtà preziosissima. Chi ama Dio non  può non  amare l’uomo, operando per la sua salvezza. Abbiamo già incontrato poco sopra quel termine curioso “carestioso”. L’uomo a Dio costa caro, come costano care le cose in tempo di carestia. Ma non esita a “spendere” pur di riavere l’uomo, diremmo noi. Colui che ama veramente Dio, non può non accendersi della stessa passione e generosità per l’uomo. Rileggiamo queste righe: “Se hai un amico caro, ancora avrai care quelle cose che lui ama e delle quali ha stima. Pertanto avendo Dio tanta stima dell’uomo come ha avuto, saresti ben crudele e poco amatore di sua Maestà e Bontà se di una cosa, che così carestiosa gli costa, non ne facessi grandissimo conto” (sermone quarto). Come SAMZ ha appreso che l’uomo è così caro a Dio?
La risposta è evidente: contemplando la Croce. La Croce è il prezzo del riscatto per l’uomo, l’icona più alta dell’amore di Dio per l’uomo.
A chi vuole intraprendere l’azione riformatrice raccomanda: “Con audacia esalta la Croce (quanto più) potentemente potrai sopra la tiepidezza, in favore dei buoni costumi”.
La contemplazione di Cristo Crocifisso, il Figlio che il Padre celeste ci ha donato “in servizio, in prezzo, in morte”, avrebbe dovuto trasformare non solo i seguaci di Antonio Maria, ma quanti essi raggiungevano con la loro azione apostolica, in veri “figli della Croce”, perfettamente assimilati a Cristo (Il Riformatore, pp 101 s.). Era solito raccomandare che “nel convertire le anime attendessero ad attaccarle a Cristo Crocifisso e che non si affaticassero molto in altro; poiché, innamorato che sia uno del Crocifisso, da se stesso poi detesta e abomina ogni vanità, delizie superflue e ogni altra cosa ripugnante alla buona disciplina cristiana” (id. p.103).
E’ cominciato nel Duomo di Milano da parte dei discepoli di SAMZ, per poi estendersi nelle parrocchie, l’uso di suonare l’Ave Maria (cioè le campane, come abitualmente si fa alla mattina e alla sera) alle tre del pomeriggio di ogni venerdì, a ricordo della morte di Gesù sulla Croce.
Un’altra pratica raccomandata dal Santo è l’adorazione eucaristica: essa è vista come incontro con il Crocifisso vivo. Abbiamo già notato quanto fossero difficili dal punto di vista religioso gli anni in cui visse SAMZ (1502-1539). Si avvertiva fortissimo il bisogno di riforma della Chiesa, ma proprio i “capi” erano per lo più sordi o distratti. A livello popolare però nascevano gruppi spontanei, religiosamente vivi. A  Milano era famoso il gruppo dell’Eterna Sapienza, costituitosi presso il monastero agostiniano di s. Marta. Si dice che le Quarantore siano nate in questo gruppo ristretto e riprese poi e pubblicizzate in maniera solenne da S. Antonio e dai suoi.
Il SS.mo veniva esposto per 40 ore di seguito, di giorno e di notte. 40 ore perché si pensava che tante fossero le ore trascorse da Gesù nel sepolcro. All’esposizione si conferiva particolare solennità soprattutto con la luce delle candele. S’è verificato anche, la prima volta probabilmente nel 1537, che il SS.mo a Milano rimanesse esposto ininterrottamente per parecchi mesi di fila: terminata l’esposizione in una chiesa, si iniziava in quella vicina, seguendo  le “porte”: da porta orientale a porta romana, a porta ticinese...: “così che, dice un collaboratore del Nostro, continuamente in Milano ci fossero persone che pregassero e ottenessero grazie dal  Nostro  Signore  per  la  conservazione della nostra città in generale ed anche in particolare, e per tutto il cristianesimo” (Morigia).
Era la riscoperta e l’affermazione pubblica della reale presenza di Gesù nell’Eucaristia.
Le difficoltà non possono mancare
Il sermone settimo, l’ultimo, parla delle persecuzioni, inevitabili. E’ chiaro il riferimento ai fatti dolorosi ai quali dovettero sottostare SAMZ e i suoi seguaci. Un capitolo interessante che non prendiamo in considerazione. Probabilmente ai ben pensanti danno fastidio coloro che cercano di vivere il vangelo in maniera anticonformistica, e lo fanno vedere anche in pubblico. “Lo Zaccaria e i suoi seguaci “erano mal veduti da parecchi così religiosi come secolari” si legge nelle Attestationi di padre Battista Soresina -; erano considerati come tanti matti, ipocriti, di poca onestà per il modo con cui si mortificavano o correggevano alle volte i propri difetti nelle quotidiane collazioni o riunioni di comunità” (Il Riformatore, p. 67).
Nel discorso ai suoi per incoraggiarli nel momento difficile della denuncia alle Autorità civili  e religiose, SAMZ dice: “Non è da meravigliarsi, né da temere, se ora ci travagliano le varie insidie della diabolica fraude, ovvero gli assalti aperti e le calunnie degli uomini del mondo”. Gesù aveva predetto per  i suoi incomprensioni e persecuzioni. Col suo esempio ci indicò anche come superarle. I nemici “invece di odiarli e detestarli, dobbiamo compiangerli e amarli. Anzi dobbiamo pregare per loro... perché essi, vedendo la nostra pazienza e la nostra bontà,  restino  confusi  dalla  malvagità loro, e infine, pentiti, si accendano ad amare Dio”.
“Quanto a noi, Dio nella sua misericordia ci ha tolti dal mondo, benché indegni, acciocché a Lui servendo passiamo di virtù in virtù, e nella pazienza riportiamo abbondanti frutti di carità...”. “E, come un tempo la Chiesa Cattolica, benché travagliata da fierissime persecuzioni,  non  veniva  meno,  ma  cresceva ogni giorno di più, così questo suo piccolo  membro  (la  nostra  Congregazione) non sarà distrutto dalle ingiurie, ma, se resisteremo, aumenterà; e diventerà più forte, benché numerosi guai la opprimano”.
Al Riformatore preannuncia difficoltà: “Ti accadranno, o Riformatore, molte cose contrarie; ma quanto più le vedrai gagliarde, tanto più fortemente tu devi confidare”. Le difficoltà maggiori provengono dalla gente tiepida con la quale si abita, la quale in fondo si vergogna che ci sia qualcuno migliore di sé. “Questa gente suole chiamare ‘singolarità’ se, oltre il corso di loro tiepidi ( = diversamente dalla loro condotta tiepida) qualcun altro vuole condurre a Cristo. Questa per te sarà la battaglia più grave di tutte le altre”.
Se vogliamo rileggere secondo la nostra sensibilità questo programma che ricorre spesso sotto la penna dello Zaccaria, diremo che il vero intento della riforma è la causa del Regno di Dio, la quale comporta la salvezza degli uomini, cui ci si dona interamente in attitudine di totale distacco da se stessi e di servizio pieno e disinteressato (cfr Il Riformatore, pp. 81 s.)
“I santi provocano sedizione, ma amando”: la vera rivoluzione è quella dell’amore.
CONCLUSIONE
Una sintesi scheletrica ma efficace delle indicazioni spirituali di SAMZ la troviamo nell’elogio che si trova in una lettera scritta alle sue religiose, “alle mie Angeliche e divine Figliole in Cristo”, la lettera V. Le elogia
  • perché sono amatrici e desiderose di patire per Cristo
  • perché sono profondamente distaccate dalle cose, anzi anche da se stesse
  • perché cercano di condurre il prossimo “al vivo spirito e vero disprezzato Cristo Crocifisso”
  • perché tutte sono apostole non solo per rimuovere ”la idolatria e altri difettoni grossi delle anime, ma per distruggere questa pestifera e maggior nemica di Cristo ..: la tiepidità”.
Si tratta di un brano pittoresco, curioso, che nasce dall’ammirazione e dall’amore del Santo per quelle donne, tanto brave da far invidia per esse anche al “divin Paolo”! Conviene  leggerlo a mo’ di conclusione: “Dolcissime e mie dilette viscere, e unico spirito e conforto mio, qual solo mi consola e mi conforta: quando io penso al mio breve ritorno ai miei nobili e generosi animi delle mie amabili Figliole, corona e gloria mia, e della quale un giorno farò invidia a quel divin Paolo, in questo altro, cioè: che le mie non sono manco ( = meno) amatrici e desiderose di patire per Cristo, delle sue; che le mie non manco disprezzano ogni cosa, anzi se stesse, delle sue; che le mie non manco cercano di condurre il prossimo al vivo spirito e vero disprezzato Cristo Crocifisso, delle sue; anzi, che le mie non una sola, ma tutte bandendo ogni  propria  riputazione  e  lecchetto ( = gusto) interiore (il qual le sue per la maggior parte tanto amavano), sarebbero apostole per rimuovere non solo la idolatria ed altri difettoni grossi delle anime, ma per distruggere questa pestifera e maggior nemica di Cristo Crocifisso, la quale sì grande regna ai tempi moderni: madonna, dico, la tepidità (= tiepidezza).

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