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OMELIE ANNO B 2020-21
 
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Festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Domenica 31 gennaio 2021
( Is 45,14-17; Eb 2,11-17; Lc 2,41-52 )

don Davide Milanesi

Oggi, in occasione della festa della famiglia, vorrei tentare, alla luce di questa pagina di Vangelo, di fare qualche considerazione sul rapporto tra genitori e figli.
Innanzitutto, parto da questa idea: il figlio è il volto dell’amore tra un uomo e una donna. L’amore tra un uomo e una donna, ad un certo punto, prende un volto, prende carne nel figlio. Per questo, se un uomo e una donna si possono separare, il figlio, frutto dell’amore tra loro, non si può separare. Mi piace, infatti, rileggere il passaggio di Genesi “i due saranno una carne sola” in riferimento al figlio, nel quale l’amore tra uomo e donna prende carne, prende un volto.
Venendo, poi, alla pagina di Vangelo, abbiamo Maria e Giuseppe, due genitori, che perdono il figlio Gesù.
Ho provato a pensare che, forse, può capitare di perdere i propri figli, non nel senso che li si lascia al supermercato, ma nel senso che uno non sa più chi sono, non riesce più ad interpretarli, a capirli (forse perché non rispondono più alle nostre aspettative).
Ho provato ad immaginare che questo aver perso Gesù non sia stato vissuto con tranquillità e che, tra Maria e Giuseppe, possa essere nata qualche tensione: “È colpa tua, che stai sempre a chiacchierare con le tue amiche” avrà potuto rimproverare Giuseppe a Maria, “Eri tu che dovevi accertarti che fosse sulla carovana” avrà ribattuto Maria.
La perdita del figlio diventa, così, motivo di conflitto tra i due genitori: spesso, del resto mi è capitato di sentire coppie dire: «le volte che abbiamo litigato, è stato a motivo dei figli». I figli sono, quindi, un bel “banco di prova” per la tenuta del legame tra marito e moglie. In particolare, la perdita di un figlio, nel senso dell’incapacità di comprenderlo e capirlo in quello che sta facendo o dicendo, può far nascere qualche conflitto o tensione tra marito e moglie.
Di fronte alla perdita di un figlio, Maria e Giuseppe suggeriscono una via che vada al di là del conflitto: cercare insieme il proprio figlio.
Una ricerca che avviene prima tra parenti e poi chiede di tornare a Gerusalemme.
Cercarlo tra parenti e tornare a Gerusalemme può essere visto come un lavoro di rilettura della propria storia (guardare da dove si viene): un’attività che, talvolta può richiedere l’aiuto di uno psicologo; pur essendo necessaria, sembra che questo tipo di ricerca non aiuti a trovare Gesù, a trovare il loro figlio. Non è lì che va cercato.
Talvolta, si può pensare che la grammatica per comprendere il proprio figlio vada cercata nella nostra storia, nel clan famigliare da cui proveniamo; in parte è così, ma non rappresenta la soluzione.
Questo tipo di ricerca nella propria storia o nel proprio clan famigliare per trovare qualche chiave d’interpretazione del proprio figlio è necessaria per capire che il figlio non si trova lì; diversamente, se non si facesse questo tipo di lavoro, resterebbe sempre il sospetto che possa trovarsi lì.
Infatti, trovano Gesù solo dopo essere andati dai parenti e tornati a Gerusalemme; ma dove lo trovano?
Nel tempio, la casa di Dio: quasi a dire che un figlio va compreso, va interpretato, riletto dentro il suo rapporto con Dio. Un rapporto che nessuno potrà mai comprendere fino in fondo, se non colui che lo vive: per questo, il figlio avrà sempre un alone di mistero che un genitore è chiamato a rispettare ed accogliere.
Interessante la risposta di Gesù a sua mamma: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
Quel Perché mi cercavate è un invito ai genitori a riconoscere l’inutilità della ricerca, perché ci sarà sempre qualcosa del figlio che sfuggirà ai genitori, ci sarà sempre un aspetto misterioso della vita di un figlio che un genitore non potrà mai comprendere e capire fino in fondo.
Se la prima domanda, Perché mi cercavate è un invito ai genitori ad accettare la povertà di una comprensione assoluta della vita del figlio, la seconda Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? rinvia, invece, all’aspetto misterioso del figlio, nella sua relazione con Dio.
Un figlio, come dicevamo all’inizio, è certamente il volto dell’amore tra un uomo e una donna, ma è – soprattutto – questa relazione con Dio (una relazione che nemmeno i genitori possono governare e comprendere fino in fondo).
È la dimensione misteriosa di ogni figlio, che nessun genitore può plagiare o piegare alla propria volontà. Per questo, il compito dei genitori è fare in modo che questa relazione sia vivace, nella vita di un figlio, facendogli intuire che la sua vera identità risiede in quella relazione.
Questo è ciò che fanno Maria e Giuseppe, tant’è vero che, ogni anno, portano il figlio Gesù a Gerusalemme per la festa di Pasqua, aiutandolo a compiere i gesti della fede, per istruire e tenere viva questa relazione con Dio.
Compito di ogni genitore è aiutare un figlio a scoprire la propria identità e a trovare la propria vocazione, entrambe strettamente legate alla relazione con Dio, una relazione che non verrà mai meno (perché ognuno di noi è figlio di Dio e tale resta per sempre); compito dei genitori è fargli scoprire che la figliolanza che sta vivendo è semplicemente il riflesso di una figliolanza più vera, più profonda, che è quella con Dio.
Facendo così, i genitori liberano il proprio figlio dalla paura della solitudine, perché lo consegnano a una figliolanza che non verrà mai meno (nemmeno con la morte).
Consegnare il proprio figlio a una figliolanza che non verrà mai meno, accettare che ci sia un aspetto dei figli che rimarrà sempre inesplorato non è per niente facile per un genitore, è faticoso comprenderlo, ma… tranquilli: siete in buona compagnia, perché anche Maria e Giuseppe hanno fatto fatica a comprenderlo! Infatti, l’evangelista, dopo le domande di Gesù conclude: Ma essi non compresero quanto aveva detto loro. Alla fine, insomma, questi due genitori trovano Gesù per capire che non è possibile trovarlo.
Permettetemi ancora due suggestioni, da questa pagina di vangelo:
Quando Maria e Giuseppe trovano Gesù, si rivolgono a lui con una domanda: Figlio perché ci hai fatto questo? Questa modalità di Maria e Giuseppe suggerisce ai genitori di porsi nei riguardi dei figli con delle domande che interrogano la loro vita, così che siano coinvolti e responsabili delle scelte che faranno. Un genitore che, al contrario, come primo approccio, dice spesso “ti spiego io”, rischia, invece, di non risvegliare il senso di responsabilità, nel cuore del figlio.
Chiudo con una domanda, a partire dal fatto che il Vangelo conclude, dicendo che Gesù stava loro sottomesso.
Oggi possiamo dire che i figli sono sottomessi ai genitori? A volte, non abbiamo, al contrario, l’impressone di figli che sono dei piccoli “faraoni”, al cui volere i genitori sono sottomessi?

  don Davide

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