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OMELIE ANNO B 2018
 
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II Domenica dopo la Dedicazione della Chiesa Cattedrale - Domenica 4 novembre 2018
(Is 56,3-7; Ef 2,11-22; Lc 14,1a.15-24)

don Davide Milanesi

Quando qualcuno ci invita a cena, è perché ha piacere a stare con noi e ci ritiene importanti. Nella parabola, troviamo Dio stesso che invita per condividere la cena. Questo ci dice che Dio ha piacere a stare con noi e che noi siamo importanti per lui.
Di fronte a questo invito, però, qualcuno rifiuta.
Dio non si scoraggia di fronte al rifiuto, ma cerca altri, che, invece, rispondono al suo invito.
Perché i primi tre rifiutano? Il campo, i buoi, la moglie. Si potrebbe dire che la loro ricchezza diventa il motivo del rifiuto. Chi ha tanto non sente il bisogno di rispondere all’invito di Dio: il campo, i buoi, la moglie bastano; non c’è bisogno di nient’altro.
Dio invita a un banchetto e il banchetto vive della logica di comunione, di condivisone che genera festa e gioia. Chi rifiuta non entra nella logica di comunione e condivisone del banchetto, ma resta con le sue proprietà; questo, però, non porta a gustare la cena. Come dice il Vangelo: alla fine, non porta a gustare la festa e la gioia.
Troppo preoccupati di difendere quello che si ha, non si entra nella logica della comunione e della condivisone tipiche di un banchetto e non si gusta la gioia della vita.
Chi risponde all’invito?
Sono i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi: coloro a cui manca qualcosa.
Non a caso, nel testo delle beatitudini, si dice “beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli”. Insomma, per rispondere a questo invito di Dio bisogna sentirci poveri, capire che ci manca qualcosa. Capire che non ci bastano il campo, i buoi, la moglie, ma abbiamo bisogno di qualcosa di più per poter vivere.
Mi piacerebbe rileggere questa parabola applicandola alla preghiera. La preghiera è il luogo dove Dio regna.
Quante scuse noi portiamo davanti a gli inviti a pregare?
C’è sempre qualcosa di più importante che fermarsi a pregare: sembra che le cose che dobbiamo fare ci bastino, non avvertiamo il bisogno di sederci a tavola con Dio, di metterci a chiacchierare con lui per ascoltare cosa debba dirci. C’è sempre qualcosa di più importante che rispondere all’invito di Dio.
Per poter rispondere all’invito alla preghiera, dovremmo riconoscerci poveri, storpi, ciechi e zoppi. Cioè, riconoscere che troviamo il gusto e il senso della vita e di tutte le cose che facciamo solo nell’incontro con Dio. Tutto sommato, noi, in fondo in fondo, pensiamo di non aver bisogno di Dio; pensiamo di essere in grado di farcela da soli.
Perché, nella nostra vita, chi deve aspettare è sempre il Signore?
Non possiamo far aspettare qualcun altro o qualcos’altro?
 

  don Davide

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