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OMELIE ANNO C 2018-19
 
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Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria - Domenica 27 gennaio 2019
(Sir 44,23. 45,1.2-5; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23)

don Davide Milanesi

Leggendo un romanzo sull’Inter, ho scoperto che fu “il mago” Helenio Herrera, l’allenatore che fece vincere la Coppa dei Campioni all’Inter negli anni Sessanta, ad inventare il ritiro. Il venerdì sera, i calciatori andavano in ritiro alla Pinetina, per preparare e studiare la partita della domenica.
Oggi, il Vangelo ci dice che anche Gesù va in ritiro: non per preparare la partita della domenica, ma per preparare la partita della vita. E non va alla Pinetina, ma va a Nazareth.
Mi ha incuriosito, in questa pagina di Vangelo, il fatto che Gesù, a motivo delle scelte di Giuseppe, guidato dall’angelo, si ritiri e vada ad abitare a Nazareth.
Questo luogo diventerà così significativo che Gesù verrà riconosciuto come il Nazareno. È interessante, infatti, notare come, nella narrazione della conversione di san Paolo, la voce che parla dalla luce, sia Gesù stesso, che si definisce “il Nazareno”: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti.
Il fatto che sia Gesù stesso a chiamarsi Nazareno mi fa dire che questa esperienza di Gesù a Nazareth è costitutiva della sua persona: non è qualcosa di secondario. Il fatto che sarà chiamato Nazareno dice che Nazareth è un’esperienza costitutiva per Gesù stesso.
Cos’è Nazareth, per Gesù?
Nazareth è il luogo dove Gesù si nasconde per trent’anni circa.
Mi chiedo perché la Parola fatta carne, il Figlio di Dio abbia bisogno di nascondersi per un periodo così lungo della propria vita in un villaggio del nord della Palestina. Perché il Figlio di Dio mette a tacere, per trent’anni, tutto ciò che potrebbe farlo riconoscere come il Figlio di Dio? Perché colui che è venuto per raccontarci Dio ha bisogno di nascondersi?
Ma poi, a Nazareth, Gesù cosa nasconde?
Gesù, a Nazareth, non si isola, ma nasconde la propria divinità. Gesù, a Nazareth, non dà segni che invitino a riconoscerlo come figlio di Dio; eppure, Lui lo è anche a Nazareth.
Di fatto, nei Vangeli, durante la vita pubblica di Gesù, nessuno dirà “lo si vedeva già quando era a Nazareth che era il figlio di Dio”.
Certo anche di fronte ai miracoli e alla sua predicazione, durante la sua vita pubblica qualcuno fatica a riconoscerlo come figlio di Dio, ma altri, invece, lo riconoscono come tale. Questo per dire che, durante la sua vita pubblica, qualche segno in più che potesse aiutare la gente a riconoscerlo come il Figlio di Dio lo ha dato.
Cos’è, dunque, Nazareth, per Gesù?
Mi piace guardare a Nazareth come il luogo dove Gesù tace la sua divinità e impara, ascolta l’umanità. Gesù, a Nazareth, è attento alla vita degli uomini perché lui in prima persona la vive: Gesù impara da loro, ascolta dagli uomini cosa vuol dire essere tali. Gesù ascolta, innanzitutto, la propria umanità.
C’è un tempo che prepara la vita pubblica di Gesù, che chiede l’umiltà di ascoltare gli uomini, di imparare dagli uomini. Credo che questa sia un po’ la pedagogia di Dio: all’inizio, taci, ascolta guarda e impara; solo dopo, potrai parlare e potrai esprimere meglio ciò che sei. In questa festa della famiglia cosa può suggerirci quest’atteggiamento di Gesù?
Spesso si sottolinea che, in famiglia, è importante dialogare e questo è vero; ma credo che, affinché un dialogo sia fecondo, è necessario mettere a tacere quello che siamo, per ascoltare l’altro, per chiederci: l’altro cosa sta vivendo in questo momento della sua vita?
Sarebbe bello che, tornando a casa uno possa chiedersi: mio marito, mia moglie, mio figlio cosa sta vivendo in questo momento della vita?
Cosa passa nel cuore di mio marito o mia moglie? Quali amarezze, quali desideri, stanno attraversando il suo cuore?
Senza avere la preoccupazione di dire e dare subito dei consigli ma mettersi in ascolto dell’altro.
All’interno della dinamica di una vita famigliare, diventa importante che uno si nasconda (non nel senso di isolarsi, ma nel senso di mettere a tacere se stesso, per ascoltare l’altro).
L’ascolto è il primo servizio che noi dobbiamo all’altro come segno del nostro amore.
Scrive Bonhoeffer: il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestare loro ascolto. L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua Parola e, analogamente, l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo.
L’amore di Dio agisce in noi, non limitandosi a darci la sua Parola, ma prestandoci anche ascolto.
Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, non sarà neppure capace di rivolgere veramente all’altro il proprio discorso, e alla fine non si accorgerà nemmeno di lui.
Chi pensa che il proprio tempo sia troppo prezioso perché sia speso nell’ascolto degli altri, non avrà mai veramente tempo per Dio e per il fratello, ma lo riserverà solo a se stesso, per le proprie parole e i propri progetti.

Mi piace pensare che Nazareth sia il tempo che Dio ha dato per ascoltare gli uomini e mi pare interessante sottolineare che questo tempo sia maggiore rispetto a quello che lui ha usato per parlare agli uomini.

  don Davide

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